lunedì 7 gennaio 2013

Laici o laicisti?

 




Laicità o laicismo? Laici o laicisti?

Proponiamo questo breve articolo per rispondere ad una delle osservazioni rivolte a noi da Antonio F. - risorgimentale - in un suo messaggio nel Libro degli ospiti, certi così di fare a lui e ai lettori, cosa gradita.

Laico è un termine fin troppo abusato, ma esso deriva dal latino "laicus" e dal greco "laikos", aggettivo formato da "laos" che vuol dire popolo - onde laitos e leitos che vuol dire "pubblico". Il termine così ha da sempre significato nella Chiesa il popolo, la gente, colui che appartiene al popolo ossia che non ha abbracciato la vita ecclesiastica e vive tra la gente, "secolare".
Il primo testo in cui compare la parola laico è la famosa Lettera ai Corinti di Clemente romano, Papa,  della fine del primo secolo, dove egli indica che la comunità cristiana deve essere ordinata (distingue facendo riferimento al giudaismo: sommo sacerdote, sacerdoti, leviti, laici).
I laici, immersi nelle realtà del mondo, all’interno della compagine ecclesiale sono coloro che appartengono al popolo: i battezzati che non rivestono alcuna funzione nella gerarchia ecclesiastica. Etimologicamente San Girolamo attribuisce il termine laici alla radice greca λαός (popolo).
Fin dai primi tempi del cristianesimo nella comunità cristiana si vanno delineando i tratti della sua composizione: una struttura gerarchica e un popolo laico.
Nei laici si trovano carismi spirituali diversi che corrispondono a vocazioni particolari. Le donne vi partecipano come gli uomini.
Insomma il termine non ha mai indicato l'ateo, l'agnostico o altro, ma semplicemente colui che non era sacerdote, ecclesiastico, il popolo e, nello specifico, il popolo che lentamente confluiva nella vita della Chiesa.  
E' errato pensare e dire che questo termine fu usato "poi" dalla Chiesa, è esattamente il contrario, nell'Impero Romano e nel mondo fino ad allora conosciuto, il termine "laico" non era di uso comune, lo rese celebre proprio la Chiesa nel suo distinguere il popolo dai consacrati.
E' normale che all'epoca il termine non indicasse gli atei come si pretende far congiungere oggi perché il problema non esisteva, non esisteva un popolo di "non credenti" che rivendicasse il proprio ateismo quindi, quando si parlava di laici, si è sempre indicato principalmente il "popolo credente" ma non consacrati nel ministero.
Suggeriamo di leggere questa ricostruzione del laico nella storia:
http://www.iuscanonicum.it/Contributi/10%20laici%20nella%20storia.htm

A partire dall'anno Mille circa, con gli Ordini terziari associati agli Ordini religiosi, vengono a formarsi i primi gruppi di laici "consacrati", un esempio comprensibile a tutti è la posizione assunta da Santa Caterina da Siena "mantellata domenicana", laica consacrata del medesimo Ordine di San Domenico, a questa forma si aggiunsero le Confraternite, gruppi di laici che all'interno di queste strutture fornivano aiuto ai sacerdoti, si prodigavano verso i più poveri, custodivano il decoro delle Chiese e degli Ospedali, organizzavano Feste patronali, alimentando e custodendo la devozione o il culto al Santo del proprio Paese, inoltre erano davvero imponenti quando si prodigavano negli Anni giubilari estendendo una fitta rete di aiuti materiali e spirituali ai pellegrini. Tanto per fare un esempio citiamo le Confraternite che ininterrottamente operano ancora oggi presso i Santuari più famosi come quello di Santiago di Compostela, o altri Santuari mariani.
In definitiva, l'essere laico, era semplicemente non amministrare il Culto, ma prestare un servizio agli "amministratori dei misteri divini" (cfr. 1Cor. 4 "Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.") il cui ministero va dal servizio della carità materiale, quanto al servizio della carità sacramentale.
Laici erano considerati anche quanti appartenevano alla classe politica. Lo stesso ruolo di Cesare e dell'Impero Romano era riconosciuto come laico da Gesù stesso, così come il concetto di Stato, nella Chiesa, è sempre stato considerato "laico", ossia svincolato dal Culto e dunque non confessionale. Ma "non confessionale" non vuol dire neppure "ateo".

Fino al 1700 circa, ossia fino all'implodere dell'Illuminismo e delle varie Rivoluzioni, il termine laico non è mai stato oggetto di interesse, né di assegnazione al negativo o al positivo. Fu con l'avanzare di uno spaventoso anticlericalismo massonico attraverso il quale essere consacrati, essere preti era giudicato in negativo, a far scaturire un concetto di positività o negatività al termine laico. Una positività che si riscontrava però a discapito del Prete, a discapito dell'appartenenza alla Chiesa. Nasce così il "laicismo" per contrapporsi a quel "rendere a Dio ciò che è di Dio".
E' erroneo e non corrisponde al vero che il cosiddetto "Stato laico" sarebbe semplicemente uno Stato "ateo" libero dalla legge di Dio.
Non solo questo è falso, ma alimenta di fatto la mostruosità che lo Stato sarebbe, a questo punto, dio di se stesso, con un ritorno al Cesare-dio in cui oggi la divinità sarebbe lo Stato e la sua bibbia la Costituzione.

Nel dicembre 2008 Avvenire riportava questo articolo interessante:
"Sul nesso fra Dio, religione e politica, l'insegnamento di Gesù Cristo si pone come evento inedito per quanto concerne la diversità fra Dio e Cesare (Mt.22,17): la novità cristiana è racchiusa nella nota frase: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Si tratta di un detto instauratore, capace di introdurre un passo in avanti nell'esperienza spirituale e politica dell'umanità.
Venne così introdotta la duplicità della rappresentanza (spirituale e temporale) al posto dell'unità tipica della città antica in cui si congiungeva in un solo vertice (nell'imperatore che era anche pontefice) la rappresentanza sacrale e quella civile.
La diversità cristiana apparve un attentato di cospicue dimensioni alla politica poiché, introducendo la "laicità" sconosciuta alle culture antiche, apriva inedite possibilità di liberazione e di dissidio.
Come spesso ha rivelato Joseph Ratzinger, la frase di Gesù sottolinea non solo che occorre marcare i confini fra Dio e Cesare, ma che occorre rendere o dare. Il risuonare di tale verbo cambia la prospettiva della semplice separatezza fra Dio e Cesare. Il rendere a Cesare quanto è necessario: giustizia, pace, diritti, rispetto, è qualcosa di grande. Ma Cesare non è Dio.
Cesare può essere patria temporale, ma non è patria definitiva per alcun uomo.
Il rendere a Cesare implica, perché sia autentico e pieno, il rendere a Dio quanto è necessario e salutare. Dare solo a Cesare senza dare a Dio è rovina. Il versetto evangelico domanda un doppio dare, e l'uno non può stare senza l'altro.
Il secolarismo europeo è esattamente definito dal dare a Cesare senza minimamente dare a Dio, mediante l'ipocrisia di confinare Dio nella più remota privatezza della coscienza, come ha denunciato Benedetto XVI.
In questo modo si sterilizza il contributo che la religione offre al miglioramento civile. Mirando al vigore della vita morale e delle virtù, essa raggiunge la società nel suo punto più nevralgico.
 Contrariamente all'asserto del materialismo storico marxista, l'anatomia della società civile è l'etica, non l'economia politica. Chi riesce a migliorare il comportamento morale delle persone adempie il compito più importante nella società.
Non ve ne è nessuna che, per quanto dotata di istituzioni molto elaborate, possa sussistere in maniera decente e costituire una vita civile accettabile, se i suoi cittadini cedono troppo ai vizi e allo scatenamento delle passioni.
Se lo Stato può soggiacere a smisurate richieste eudaimonistiche ma non può garantire i propri fondamenti morali, deve trovare fuori di sé, ossia nella società, tali basi: che oggi sono messe a rischio dal relativismo intellettuale e morale, e dal secolarismo.
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E ancora:
"La Chiesa non rivendica il diritto di dominare la dimensione secolare, ma ha tutto il diritto - di fatto l'obbligo, il dovere - di impegnare l'autorità secolare e di sfidare quanti la esercitano a soddisfare le esigenze di giustizia. In questo senso, la Chiesa cattolica non può stare, non è mai stata e non starà mai "fuori dalla politica". La politica implica l'esercizio del potere. L'uso del potere ha un contenuto morale e conseguenze umane. Il benessere e il destino della persona umana sono decisamente materia, e speciale competenza, della comunità cristiana".
(...)
D'altro canto vi sono personalità influenti, sia negli Stati Uniti sia in Europa, che cercano di ridurre la religione e la fede a un'opzione privata senza un ruolo pubblico da svolgere. Quindi cercano di edificare ciò che un critico definisce "una nuda pubblica piazza", rinchiudendo così la religione tra le pareti domestiche e secolarizzando totalmente la dimensione pubblica. (...)
... i cattolici, con il loro impegno per la tradizione della legge naturale, portano un contributo importante alla vita pubblica e al processo politico ... Infatti, come si può contribuire al bene comune se non si portano nei dibattiti e nelle discussioni le proprie convinzioni morali e i propri valori profondi?
Inoltre, le figure più autorevoli della tradizione cattolica, come san Tommaso d'Aquino, riconoscono la legittima autonomia della dimensione secolare-laica. La pretesa di "Cesare" alla lealtà e alla dedizione dei cittadini è legittima, ma la lealtà non può mai usurpare l'obbedienza alla corretta morale e il culto che si devono solo a Dio.
(..)
...un esempio è il santo inglese Tommaso Moro, che  Giovanni Paolo II definì "il celeste patrono dei governanti e dei politici".
 La grandezza di Moro sta nella sua lotta coraggiosa per restare fedele al proprio dovere verso il suo sovrano terreno senza mai compromettere la sua dedizione fondamentale ai dettami della propria coscienza di laico come riflesso della sua obbedienza al suo Re celeste. Come è ben noto, questa coerenza alla fine gli costò la vita, ma la sua testimonianza resta una forza potente e una ispirazione per quanti cercano di illuminare l'ordine sociale con la luce del Vangelo.
(..)
... ai laici di oggi è chiesta la stessa sfida che san Paolo pose ai suoi concittadini dell'impero romano:  "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Romani, 12, 2). La chiave qui è la virtù del discernimento - e questo è sempre un compito arduo.
(dall'Oss. Romano del 11-12 agosto 2008)

Sant'Ambrogio chiede ripetutamente agli imperatori di stare attenti a far sì che i loro atti di governo non siano contrari al volere di Dio:  è questo il modo concreto attraverso il quale, in dualità di ambiti, l'autorità politica onora e rende gloria a Dio. Così, il santo segnala che la dimensione morale non appartiene solo all'ambito religioso, ma anche a quello politico:  ed è questo ordine morale, che le due sfere condividono, il luogo in cui s'incontrano.

 Un laico, insomma, può benissimo essere cattolico, e un cattolico  è un laico. Non ci sono laici contro cattolici. È interessante notare  che "cattolico", usato socialmente dal XVI sec. circa, in seguito allo scisma d’Oriente, viene dal greco cattolico katholicos (da kata +  gen. di holos) e significa “universale”. Insomma, ciò che contraddistingue il cattolicesimo dalle altre dottrine cristiane (e persino non) è la vocazione universale e inclusiva, ovvero in grado di abbracciare anche chi non ha preso i voti, ovvero i laici.
Lo scontro tra laici e cattolici è cominciato con le Rivoluzioni, quando si è cominciata ad usare la dea-ragione contro la Divina Sapienza infusa nella Chiesa, contro l'etica e la morale (legge naturale), contro i Dieci Comandamenti.

Non a caso così spiega Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Pace 2013:
"La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana.
Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.
Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?
Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente.
Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.
Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.
Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace. (..)
 La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società..."
 ***
Quindi ricorda: laici, laicità è una realtà individuata dalla Chiesa fin dal primo secolo.
Laicismo, laicisti no! E' una perversione del termine e del significato usato oggi contro la Chiesa, contro la religione, contro Dio, contro l'uomo di fede, contro la ragione stessa. Il laicismo è progressista (non progresso) e pretende di imporre una società secolarizzata nella quale non vi sia più il riferimento a Dio e alle radici Cristiane.

Suggerimenti alla lettura:

1. un libro: Laici e laicità: nei primi secoli della Chiesa - a cura di mons. Enrico Dal Covolo

2. Le radici della laicità (I-V secolo d.C.) prof. Paolo Siniscalco - Università di Roma “La Sapienza”
http://www.dirittoestoria.it/10/memorie/Siniscalco-Radici-laicita.htm

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Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/laici-o-laicisti-/

sabato 5 gennaio 2013

Lettera alle Mamme dei Sacerdoti

LETTERA DEL CARDINAL PIACENZA
«Madri di preti siete figlie dei vostri figli»
 
 3.1.2013
Con la stessa gratitudine con cui guarda a Maria, che «ha dato alla luce Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo», la Chiesa oggi continua a guardare «a tutte le mamme dei sacerdoti e di quanti, ricevuta quest’altissima vocazione, hanno intrapreso il cammino di formazione». Ed è proprio per esprimere questo particolare grazie alle madri dei preti e dei seminaristi, che il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero, ha deciso di inviare loro per la prima volta una lettera nella solennità di Maria Santissima Madre Di Dio, celebrata il 1° gennaio.

I figli, che queste donne «hanno accolto ed educato», sottolinea il porporato nel testo reperibile nel sito internet Clerus.org, «sono stati scelti da Cristo fin dall’eternità, per divenire suoi "amici prediletti" e, così, vivo e indispensabile strumento della sua presenza nel mondo».

Attraverso l’ordinazione, infatti, «la vita dei sacerdoti viene definitivamente presa da Gesù e immersa in lui, cosicché, in loro, è Gesù stesso che passa e opera tra gli uomini». Il cardinale, quindi, sottolinea l’importanza del compito affidato ai preti e ne rintraccia le radici proprio in quegli affetti e in quelle relazioni familiari di cui le madri sono solitamente le prime testimoni. «La vocazione sacerdotale, normalmente, ha nella famiglia, nell’amore dei genitori e nella prima educazione alla fede, quel terreno fertile nel quale la disponibilità alla volontà di Dio può radicarsi e trarre l’indispensabile nutrimento – sottolinea Piacenza –. Nel contempo, ogni vocazione rappresenta, anche per la stessa famiglia in cui sorge, un’irriducibile novità, che sfugge ai parametri umani e chiama tutti, sempre, a conversione».


Proprio come successo alla Vergine di Nazareth, quindi, la crescita di una vocazione è prima di tutto opera di una collaborazione tra Dio e l’uomo. In questo terreno fertile, secondo la riflessione del porporato, la scelta della vita sacerdotale porta un’autentica novità, nella quale «tutti i familiari - e le persone più vicine - sono coinvolti».
Ma «è certamente unica e speciale la partecipazione che è data di vivere alla mamma del sacerdote – ricorda Piacenza –. Uniche e speciali sono, infatti, le consolazioni spirituali, che le derivano dall’aver portato in grembo chi è divenuto ministro di Cristo. Ogni madre, infatti, non può che gioire nel vedere la vita del proprio figlio, non solo compiuta, ma investita di una specialissima predilezione divina che abbraccia e trasforma per l’eternità».


L’esperienza, poi, insegna che, nonostante la distanza dalla famiglia che la radicale scelta di Cristo produce, «la madre "riceve" il figlio sacerdote in un modo del tutto nuovo e inatteso, tanto da essere chiamata a riconoscere nel frutto del proprio grembo, per volontà di Dio, un "padre", chiamato a generare ed accompagnare alla vita eterna una moltitudine di fratelli. Ogni madre di un sacerdote – sottolinea il prefetto della Congregazione per il clero – è misteriosamente "figlia del suo figlio"». Questa paternità, che è il tratto caratteristico del sacerdozio, ha però bisogno «di essere accompagnata dalla preghiera assidua e dal personale sacrificio». Un sostegno che oggi appare «quanto mai urgente, soprattutto nel nostro Occidente secolarizzato» e «le mamme dei sacerdoti e dei seminaristi rappresentano un vero e proprio "esercito" che, dalla terra innalza al Cielo preghiere e offerte» a favore dei ministri ordinati.

Per questo il porporato rivolge, a nome di tutta la Chiesa, un ringraziamento e un incoraggiamento a queste madri, estendendolo «a tutte le donne, consacrate e laiche, che hanno accolto il dono della maternità spirituale nei confronti dei chiamati al ministero sacerdotale, offrendo la propria vita, la preghiera, le proprie sofferenze e le fatiche, come pure le proprie gioie, per la fedeltà e santificazione dei ministri di Dio». Così facendo esse sono partecipi della maternità di tutta la Chiesa, «che ha il suo modello e il suo compimento nella divina maternità di Maria».

Un abbraccio che si estende fino al cielo, a quelle madri «già chiamate da questa vita», che «in modo unico e, misteriosamente, molto più efficace» continuano a intercedere per i loro figli sacerdoti.


 
Lettera alle Madri dei Sacerdoti e dei Seminaristi
e a quante esercitano verso di loro il dono della maternità spirituale
nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio


«Causa nostrae Letitiae – Causa della nostra Gioia»!

Il Popolo cristiano ha sempre venerato, con profonda gratitudine, la Beata Vergine Maria, contemplando in Lei la Causa di ogni nostra vera Gioia.
Infatti, accogliendo la Parola Eterna nel suo grembo immacolato, Maria Santissima ha dato alla luce il Sommo ed Eterno Sacerdote, Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. In Lui, Dio stesso è venuto incontro all’uomo, l’ha sollevato dal peccato e gli ha donato la Vita eterna, cioè la Sua stessa Vita. Aderendo alla Volontà di Dio, perciò, Maria ha partecipato, in modo unico ed irripetibile, al mistero della nostra redenzione, divenendo, in tal modo, Madre di Dio, Porta del Cielo e Causa della nostra Gioia.
In modo analogo, la Chiesa tutta guarda, con ammirazione e profonda gratitudine, a tutte le mamme dei Sacerdoti e di quanti, ricevuta quest’altissima Vocazione, hanno intrapreso il cammino di formazione, ed è con profonda gioia che mi rivolgo a loro.
I figli, che esse hanno accolto ed educato, infatti, sono stati scelti da Cristo fin dall’eternità, per divenire Suoi “amici prediletti” e, così, vivo ed indispensabile strumento della Sua Presenza nel mondo. Per mezzo del Sacramento dell’Ordine la vita dei sacerdoti viene definitivamente presa da Gesù e immersa in Lui, cosicché, in loro, è Gesù stesso che passa e opera tra gli uomini.
Questo mistero è talmente grande, che il sacerdote viene anche chiamato “alter Christus” – “un altro Cristo”. La sua povera umanità, infatti, elevata, per la potenza dello Spirito Santo, ad una nuova e più alta unione con la Persona di Gesù, è ora luogo dell’Incontro con il Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi. Quando ogni sacerdote insegna la fede della Chiesa, infatti, è Cristo che, in lui, parla al Popolo; quando, prudentemente, guida i fedeli a lui affidati, è Cristo che pasce le proprie pecorelle; quando celebra i Sacramenti, in modo eminente la Santissima Eucaristia, è Cristo stesso, che, attraverso i suoi ministri, opera la Salvezza dell’uomo e si rende realmente presente nel mondo.
La vocazione sacerdotale, normalmente, ha nella famiglia, nell’amore dei genitori e nella prima educazione alla fede, quel terreno fertile nel quale la disponibilità alla volontà di Dio può radicarsi e trarre l’indispensabile nutrimento. Nel contempo, ogni vocazione rappresenta, anche per la stessa famiglia in cui sorge, un’irriducibile novità, che sfugge ai parametri umani e chiama tutti, sempre, a conversione.
In questa novità, che Cristo opera nella vita di coloro che ha scelto e chiamato, tutti i familiari – e le persone più vicine – sono coinvolti, ma è certamente unica e speciale la partecipazione che è data di vivere alla mamma del sacerdote. Uniche e speciali sono, infatti, le consolazioni spirituali, che le derivano dall’aver portato in grembo chi è divenuto ministro di Cristo. Ogni madre, infatti, non può che gioire nel vedere la vita del proprio figlio, non solo compiuta, ma investita di una specialissima predilezione divina che abbraccia e trasforma per l’eternità.
Se apparentemente, in virtù della vocazione e dell’ordinazione, si produce un’inaspettata “distanza”, rispetto alla vita del figlio, misteriosamente più radicale di ogni altra separazione naturale, in realtà la bimillenaria esperienza della Chiesa insegna che la madre “riceve” il figlio sacerdote in un modo del tutto nuovo e inatteso, tanto da essere chiamata a riconoscere nel frutto del proprio grembo, per volontà di Dio, un “padre”, chiamato a generare ed accompagnare alla vita eterna una moltitudine di fratelli. Ogni madre di un sacerdote è misteriosamente “figlia del suo figlio”. Verso di lui potrà, allora, esercitare anche una nuova “maternità”, nella discreta, ma efficacissima ed inestimabilmente preziosa, vicinanza della preghiera e nell’offerta della propria esistenza per il ministero del figlio.
Questa nuova “paternità”, alla quale il Seminarista si prepara, che al Sacerdote è donata e della quale tutto il Popolo Santo di Dio beneficia, ha bisogno di essere accompagnata dalla preghiera assidua e dal personale sacrificio, perché la libertà nell’aderire alla volontà divina sia continuamente rinnovata e irrobustita, perché i Sacerdoti non si stanchino mai, nella quotidiana battaglia della fede e uniscano, sempre più totalmente, la propria vita al Sacrificio di Cristo Signore.
Tale opera di autentico sostegno, sempre necessaria nella vita della Chiesa, appare oggi quanto mai urgente, soprattutto nel nostro Occidente secolarizzato, che attende e domanda un nuovo e radicale annuncio di Cristo e le mamme dei sacerdoti e dei seminaristi rappresentano un vero e proprio “esercito” che, dalla terra innalza al Cielo preghiere ed offerte e, ancor più numeroso, dal Cielo intercede perché ogni grazia sia riversata sulla vita dei sacri pastori.
Per questa ragione, desidero con tutto il cuore incoraggiare e rivolgere un particolarissimo ringraziamento a tutte le mamme dei sacerdoti e dei seminaristi e - insieme ad esse - a tutte le donne, consacrate e laiche, che hanno accolto, anche per l’invito loro rivolto durante l’Anno Sacerdotale, il dono della Maternità spirituale nei confronti dei chiamati al ministero sacerdotale, offrendo la propria vita, la preghiera, le proprie sofferenze e le fatiche, come pure le proprie gioie, per la fedeltà e santificazione dei ministri di Dio, divenendo così partecipi, a titolo speciale, della maternità della Santa Chiesa, che ha il suo modello ed il suo compimento nella divina maternità di Maria Santissima.
Uno speciale ringraziamento, infine, si elevi fino al Cielo, a quelle Madri, che, già chiamate da questa vita, contemplano ora pienamente lo splendore del Sacerdozio di Cristo, del quale i loro figli sono divenuti partecipi, e per essi intercedono, in modo unico e, misteriosamente, molto più efficace.
Unitamente ai più sentiti auguri per un Nuovo Anno di grazia, di cuore imparto a tutte ed a ciascuna la più affettuosa benedizione, implorando per voi dalla Beata Vergine Maria, Madre di Dio e dei Sacerdoti, il dono di una sempre più radicale immedesimazione con Lei, discepola perfetta e Figlia del suo Figlio.



Mauro Card. Piacenza
Prefetto della Congregazione per il Clero