sabato 24 dicembre 2011

Buon Natale a Tutti!


Dai "Discorsi" di Sant'Agostino Vescovo 
 (Sermo 194, 3.3-4.4)
L'unico Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, 
fa diventare figli di Dio molti figli dell'uomo
Chi di noi uomini potrà mai conoscere tutti i tesori della sapienza e della scienza racchiusi in Cristo (Cf. Col 2, 3) e nascosti nella povertà della sua carne? Poiché per noi si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà (Cf. 2 Cor 8, 9). Quando assunse la natura mortale e consumò la morte, si mostrò nella povertà, ma promise le sue ricchezze che aveva differite, non le perse per essergli state tolte. 
Quanto è immensa la sua bontà che riserva per coloro che lo temono, ma che concede a chi conserva la sua speranza in lui! (Cf. Sal 30, 20) In parte infatti già conosciamo, nell'attesa che venga la perfezione (Cf. 1 Cor 13, 12). Per farci diventare capaci di possederlo egli, uguale al Padre nella natura divina e divenuto simile a noi nella natura di servo, ci rifà a somiglianza di Dio. 
L'unico Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, fa diventare figli di Dio molti figli dell'uomo; e nutrendo i servi con l'assumere la natura visibile di servo, li rende figli, capaci di poter vedere la natura di Dio. Infatti siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato quello che saremo. Sappiamo che quando ciò verrà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli é (1 Gv 3, 2). 
In che senso in lui ci sono tesori di sapienza e di scienza, in che senso si parla di ricchezze divine se non perché ci basteranno? 
E in che senso è grande la sua bontà se non perché ci sazierà? Mostraci dunque il Padre e ci basta (Gv 14, 8). E in un Salmo un tale - che è uno di noi o parla in noi o per noi - gli dice: Mi sazierò quando si manifesterà la tua gloria (Cf. Sal 16, 15). Egli e il Padre sono una cosa sola (Cf. Gv 10, 30) e chi vede lui vede anche il Padre (Cf. Gv 14, 9). Perciò il Signore potente è il re della gloria (Sal 23, 10). Convertendoci ci mostrerà il suo volto e noi saremo salvi (Cf. Sal 79, 4) e ci sazieremo e questo ci basterà. 
Gli dica pertanto il nostro cuore: Ho cercato il tuo volto. Il tuo volto, Signore io cerco, non nascondermi la tua faccia (Sal 26, 8-9). Ed egli risponderà al nostro cuore: Chi mi ama osserva i miei comandamenti, e chi ama me sarà amato dal Padre mio e io pure l'amerò e gli manifesterò me stesso (Gv 14, 21). Le persone alle quali rivolgeva queste parole lo vedevano certo con gli occhi e udivano con le orecchie il suono della sua voce e potevano afferrare con il loro cuore umano la sua umanità. Ma ciò che occhio non vide né orecchio udì né cuore di uomo poté afferrare, questo egli prometteva di mostrare a coloro che lo amano (Cf. 1 Cor 2, 9). Finché questo non avviene, finché non ci mostra colui che potrà bastarci (Cf. Gv 14, 8), finché non berremo lui fonte della vita e non ci sazieremo di lui (Cf. Gv 7, 38); mentre, camminando nella fede, pellegriniamo lontani da lui (Cf. 2 Cor 5, 6-7), mentre abbiamo fame e sete di giustizia (Cf. Mt 5, 6), mentre desideriamo con indicibile ardore la bellezza della sua natura divina, celebriamo con pia devozione il Natale della sua natura di servo. 

Non ancora possiamo contemplarlo come generato dal Padre prima dell'aurora (Cf. Sal 109, 3): celebriamolo con solennità come nato dalla Vergine nel cuore della notte. Non ancora possiamo comprenderlo perché davanti al sole persiste il suo nome (Cf. Sal 71, 17): riconosciamo la sua dimora posta sotto il sole. Non ancora possiamo contemplare l'Unigenito nel seno del Padre suo: celebriamo lo sposo che esce dalla stanza nuziale (Cf. Sal 18, 6). 
Non ancora siamo in grado di partecipare alla mensa del Padre nostro: riconosciamo la mangiatoia del Signore nostro Gesù Cristo.

martedì 6 dicembre 2011

Solennità dell'Immacolata Concezione

8 Dicembre Solennità dell'Immacolata Concezione






I Papi e l'Immacolata


La stola bianca indossata dal Papa al posto di quella tradizionale rossa, a sottolineare la solennità mariana. Il coro spagnolo che accompagna il momento conclusivo della breve preghiera ai piedi della statua. La deposizione dell'omaggio floreale, la cui composizione è curata dagli addetti ai Giardini vaticani. Sono alcune caratteristiche del rito che avrà luogo in Piazza di Spagna l'8 dicembre, indicate dal maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini, alla vigilia della visita di Benedetto XVI all'Immacolata.

Il monumento fu costruito per ricordare la definizione da parte di Pio IX, l'8 dicembre 1854, del dogma del concepimento sine macula della Vergine. Duecento vigili del fuoco pontifici collocarono la statua bronzea della Vergine sulla colonna marmorea - entrambe progettate da Luigi Poletti - poi offrirono una corona di fiori deposta sulla sommità. Lo stesso Papa Mastai Ferretti l'8 dicembre 1857 inaugurò il monumento da una tribuna posta davanti al Palazzo dell'Ambasciata di Spagna, avviando di fatto la tradizione dei pellegrinaggi.

Nel 1908 la vicina parrocchia di sant'Andrea delle Fratte cominciò a organizzare e a regolare il flusso dei fedeli romani e, a partire dal 1938, la Pontificia Accademia dell'Immacolata curò l'organizzazione dell'avvenimento, che assunse le caratteristiche odierne: ai pompieri, all'ambasciatore di Spagna, ai religiosi e chierici della città, ai rappresentanti di collegi, seminari, confraternite e al laicato cattolico, si uniron0 in forma ufficiale le autorità civili cittadine, provinciali e regionali, le associazioni dei lavoratori comunali e delle altre realtà produttive dell'Urbe.

Dopo la fine dello Stato Pontificio fu Pio XII - romano di nascita - il primo Papa a recarsi personalmente a compiere l'atto di omaggio all'Immacolata. L'occasione, l'8 dicembre del 1953, fu l'inizio dell'Anno Mariano. E Giovanni XXIII, a poco più di un mese dalla sua incoronazione, vi si recò per la prima volta, nel 1958 per poi tornarvi nel 1960 e nel 1961.
Dopo di lui il gesto divenne consuetudine con Paolo VI, che vi andò anche nel pomeriggio dell'8 dicembre 1965, dopo la solenne chiusura del concilio Vaticano II e che nel periodo della crisi petrolifera si recò in Piazza di Spagna con la carrozzella trainata da un cavallo.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno mantenuto viva la tradizione.







Vergine amabilissima, che sino ab eterno foste l'oggetto prediletto de' Divini Amori, ottenete anche a noi tutti di farvi sempre caro oggetto di nostra devozione.
Ave Maria... 
 
Dio ti Salvi o Maria, nostra Madre Dolce e Pia, oh Maria nostra Avvocata o Concetta Immacolata.

 
Tota pulchra es Maria !
Et macula originalis non est in  te!
Tu Gloria Jerusalem!
Tu Laetitia Israel!
Tu honorificentia populi nostri, tu advocata peccatorum!
Oh Maria! Oh Maria!
Virgo Prudentissima, Mater Clementissima!
Ora pro nobis, intercede pro nobis; ad Dominum Jesum Christum!

In Conceptione tua Virgo Immaculata fuisti.
Ora pro nobis Patrem cujus Filium peperisti.
Felix es, sacra Virgo Maria, et omni laude dignissima.
Quae serpentis caput virgineo pede contrivisti.


martedì 1 novembre 2011

Ricordiamo tutti i Defunti

"La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55).
Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla....

Requiem








L'ATTO EROICO DI CARITA' IN SUFFRAGIO DELLE ANIME PURGANTI


ossia, offerta di tutte le opere satisfattorie e di tutti i suffragi a favore delle Anime Purganti.

Questo Atto eroico di carità a vantaggio delle Anime del Purgatorio consiste in una spontanea offerta, che fa il fedele a Sua Di­vina Maestà, di tutte le sue opere soddisfat­torie in vita, e di tutti i suffragi che può egli avere dopo morte, a vantaggio delle sante Ani­me del Purgatorio.

Fu questo Atto approvato dal sommo Pon­tefice Gregorio XV, quando, con sua Bolla Pa­storis Aeterni, approvò l'istituto del Consorzio dei Fratelli, fondato dal Ven. P. Domenico di Gesù Maria, Carmelitano Scalzo, in cui, tra gli altri pii esercizii a pro dei defunti, vi è quello di offrire e consacrare a loro suffragio la parte satisfattoria delle proprie opere. In séguito, questa pia pratica venne diffusa con ammira­bile successo dal Padre D. Giuseppe Gaspare Oliden Teatino, il quale suggerì inoltre di ri­mettere nelle mani della Santissima Vergine queste opere e suffragi, aflînchè ne sia la di­stributrice a favore di quelle sante Anime che Ella vuole più presto liberare dalle pene del Purgatorio. Con tale offerta per altro non si cede che il frutto speciale e personale di cia­scuno, talchè ai Sacerdoti non viene impedito di applicare la Santa Messa secondo la inten­zione di quelli che loro diedero l'elemosina; né ai fedeli vien tolta la libertà di potere offrire, quando vogliono, le loro opere buone al Si­gnore per qualche fine speciale; ad esempio, per impetrare grazie o rendere grazie per fa­vori ottenuti.

Questo Atto eroico di carità fu arricchito di molti favori, con Decreto del 23 agosto 1728, dal Sommo Pontefice Benedetto XIII, confer­mati poi da Papa Pio VII il 12 dicembre 1788; i quali favori furono quindi dal Sommo Pon­tefice Pio IX, con Decreto della Sacra Con­gregazione delle Indulgenze del 10 settembre 1852, specificati nel modo seguente:

I. I Sacerdoti che avranno fatto la detta offerta potranno godere, in tutti i giorni, l'in­dulto dell'Altare privilegiato personale.

II. Tutti i fedeli che avranno fatto la stessa offerta possono lucrare:

Indulgenza Plenaria applicabile solamente ai Defunti ìn qualunque giorno facciano la Santa Comunione, purchè visitino una Chiesa o pubblico Oratorio, ed ivi preghino per qual­che spazio di tempo secondo la intenzione del Sommo Pontefice.

III. Similmente potranno lucrare Indulgenza Plenaria tutti i lunedì dell'anno ascoltando la Santa Messa in suffragio delle Anime del Purgatorio, ed adempiendo le altre condizioni summenzionate.

IV. Tutte le Indulgenze che sono concesse o che si concederanno in appresso, le quali si lucrano dai fedeli che hanno fatto questa offerta, possono applicarsi alle Anime del Pur­gatorio.

Finalmente lo stesso Sommo Pontefice Pio IX, avendo in vista quei giovanetti che ancora
non si comunicano, e così pure gl'infermí, i cronici, i vecchi, i contadini, i carcerati ed altre persone che non possono comunicarsi, o non possono ascoltare la Santa Messa nel lu­nedì, concesse che sia valevole quella che ascol­teranno nella Domenica: e per quei fedeli che ancora non si comunicano, o sono impediti di potersi comunicare, ha rimesso all'arbitrio dei rispettivi Ordinarii di autorizzare i confessori per la commutazione delle opere.

Si avverte infine che, sebbene questo Atto eroico di carità venga indicato, in alcuni fo­glietti stampati, col nome di Voto eroico di ca­rità, e venga nei medesimi espressa anche una formula di tale offerta, pure non si intende questo voto fatto in modo che obblighi sotto peccato; come pure non è necessario di pro­nunziare l'indicata formula o un'altra qual­siasi, bastando l'obbligazione fatta col cuore per essere partecipi delle indicate Indulgenze e privilegi.

OFFERTA DI TUTTE LE BUONE OPERE in vantaggio delle Anime Purganti.


Per vostra maggior gloria, o mio Dio, Uno nell'essenza e Trino nelle Persone, e per imitare più dappresso il dolcissimo no­stro Redentore Gesù Cristo, come pure per mostrare la mia sincera servitù verso la Madre di misericordia Maria santissima, che è Madre anche delle povere Anime del Purgatorio, io propongo di cooperare alla ­redenzione e libertà di quelle Anime pri­gioniere, debitrici ancora verso la divina giustizia delle pene dovute ai loro peccati: e, nel modo che posso lecitamente (senza obbligarmi però sotto peccato alcuno), vi prometto di buon cuore e vi offro il mio spontaneo voto di volere liberare dal Pur­gatorio tutte le Anime che Maria santissima vuol liberare; e però nelle mani di questa Madre piissima pongo tutte le mie opere soddisfattorie, e quelle da altri a me appli­cate, si in vita come in morte, e dopo il mio passaggio all'eternità.
Vi prego, o mio Dio, a voler accettare e confermare questa mia offerta, siccome io ve la rinnovo e confermo ad onor vostro, e per la salute dell'anima mia.
Che se per avventura le mie opere sod­disfattorie non bastassero a pagare tutti i debiti di quelle Anime, cui la Vergine san­tissima vuol liberare, ed i miei proprii de­biti per le mie colpe, che odio e detesto di vero cuore, mi offro, o Signore, a pagarvi, se a Voi così piacerà, nelle pene del Pur­gatorio quello che manca, abbandonandomi del resto fra le braccia della vostra mise­ricordia, e tra quelle della dolcissima mia Madre Maria. Di questa mia offerta e pro­testa voglio testimonii tutti i Beati del Cielo, e la Chiesa tutta militante e la penante nel Purgatorio. Così sia.


ALTRA FORMULA PIÙ BREVE PER L'ATTO EROICO.

Io N. N., in unione ai meriti di Gesù e di Maria, depongo nelle mani di Maria santissima e vi offro, mio Dio, per le Ani­me del Purgatorio, la parte satisfattoria di tutte le buone opere che farò nel corso di mia vita, e che altri potrà applicare per me in vita e dopo morte. E ciò per vostra maggior gloria, per imitare l'esempio vo­stro, o Gesù mio, che tutto Voi deste per le anime; e per accrescere in Cielo il nu­mero dei vostri adoratori eterni e dei glo­rificatori della Madre vostra, che interce­dano per me.

VANTAGGI E PREGI DELL'ATTO EROICO.

Ah! come è vero, che la carità è la chiave, che apre a noi e agli altri la porta del Cielo! Questo voto è destinato, come dice il santo Padre Pio IX nel suo bellissimo Breve dato il 20 novembre 1854, a portare alle Anime purganti il maggior conforto, che mai si possa dar loro dagli uomini. Perchè mentre le altre devozioni, preghiere, sante Messe, elemosine, Indulgenze, ecc., sono per esse come goccie o ruscelletti di acqua fresca, che cadono di tempo in tempo sulle fiamme del Purgatorio, l'Atto eroico le riunisce tutte, scorrendo continua­mente, a guisa di un fonte perenne o di un gran fiume, nel Purgatorio, vita nostra du­rante ed anche dopo. L'Atto eroico non toglie che dobbiamo continuare a far per le Anime purganti tutti i suffragi, che possiamo; ma raddoppia il merito di essi, e raccoglie, come fa una diligente spigolatrice, anche tutte le spighe dei meriti, a cui spesso non si bada. Oh ! i bei manipoli, che si possono mandare in un giorno al Purgatorio, o, per meglio dire, al Paradiso, da chi, avendolo emesso, vive san­tamente occupato in tali suffragi!

Ma non basta; piove altresì sopra quelle Anime, assetate dal fuoco che le strugge, un'altra rugiada continua, e questa è il merito soddi­sfattorio di tutto il bene che voi farete, anche senza pensare in quel momento, ne rinnovar sempre l'intenzione, che ciò sia per le Anime purganti. Il vostro sudore nel lavorare nella vigna del Signore, nell'assistere malati, aiutare miserabili, ecc., ristora le povere Anime; le vostre elemosine ai poveri diminuiscono l'estre­ma loro penuria; i vostri dolori raddolciscono le loro pene; se voi soffrite con pazienza gli affronti, esse si sentono consolate; e le vostre penitenze le avvicinano alle gioie ed ai gaudii del Paradiso. Quanto prezioso è dunque questo voto, ossia Atto eroico! Già l'ho detto, chi ha fatto questo voto acquista: I.° ad ogni Comunione, II.° ogni lunedì, nell'a­scoltare la Santa Messa, una Indulgenza Ple­naria per i Defunti. In tal modo, senza addos­sarci molti obblighi particolari, possiamo donare ad essi cento volte più di prima che avessimo fatto un tale atto. Procuriamo dunque di star­cene in grazia di Dio, e di far costantemente delle buone opere.

Inoltre le nostre preghiere per tale via pas­sano per le mani di Maria santissima. E per le mani benedette di Maria Vergine i suffragi vanno molto più sicuri, e allo stesso tempo aumentano di valore; perchè la Madonna san­tissima unisce i suoi sommi meriti ai nostri sforzi meschini. Di più, noi siamo soggetti a dimenticarci di certe Anime e di altre non sappiamo i bisogni. Dopo questa offerta però, colla quale facciamo la Madonna, nostra am­ministratrice, Essa farà tutte le cose per noi nel miglior modo possibile; non si dimenti­cherà di nessuno, adempiendo Essa tutti i no­stri doveri verso le Anime sante del Purgatorio.

Per tale maniera l'Atto eroico rende le In­dulgenze tutte applicabili ai Defunti, e ci leva il peso di dover sempre rinnovare l'intenzione d'acquistare Indulgenze per le Anime purganti. Chi vive cristianamente può guadagnare senza paragone maggiori Indulgenze di quelle onde abbisogni per se. Ora questo voto fa si che nessuna Indulgenza vada perduta, perchè tutte vengono applicate, e fruttano alle povere Ani­me del Purgatorio. Quanti vantaggi!

Anche a noi stessi quest'Atto procura stra­ordinarii vantaggi. Difatti: Io ogni volta che facciamo un'opera buona, rinunziamo, è vero, al merito soddisfattorio, ma nelle stesso tempo aggiungiamo all'opera un nuovo grado di vir­tù, coll'Atto di carità che si fa alle Anime pur­ganti; e così noi stessi guadagnamo un merito reale che non può esserci tolto.

Siccome poi il cedere la soddisfazione per le pene del Purgatorio è un bene temporale, ed il merito che perciò si acquista verso Iddio, rende degni d'un nuovo grado di ricompensa eterna, così con tale cessione d'un minor bene acquistiamo un bene maggiore, cioè, per un bene limitato un bene infinito. Che cambio vantaggioso!

In secondo luogo l'Atto eroico, nella sua es­senza, è una nuova forma del consiglio evan­gelico della povertà volontaria, ma in grado più sublime. Gesù aveva detto: “Se vuoi es­sere perfetto va, vendi tutto quello, che hai, dàllo ai poveri e poi vieni a seguirmi”. Ora così fanno tutti quelli che emettono questo Atto eroico, in attesa di questi beni spirituali, che dalle anime pie sono stimati mille volte più pregevoli dei beni temporali.
Terzo vantaggio: la carità è il vincolo della perfezione: ora l'anima di questo Atto è ap­punto la carità. Dunque questa espropriazione ci farà necessariamente progredire nella perfe­zione cristiana.

 La frequente memoria delle Anime del Purgatorio ci darà il santo timore del peccato, ci distaccherà dal mondo, ci spro­nerà alle buone opere, e ci accenderà nel cuore l'amore di Dio, e il dolore di averlo offeso. Ci guarderemo maggiormente dai peccati veniali, pensando che quelle Anime soffrono tanto an­che per piccoli peccati ed imperfezioni. Ri­nunzieremo ancora più facilmente a tutti gli attacchi disordinati dei beni di questa terra, al desiderio di piacere alle genti, di essere amati, se mireremo spesso coll'occhio dell'ani­ma laggiù nelle caverne sotterranee il fuoco del Purgatorio; ed in esso tanti ricchi e dotti del mondo nella più squallida miseria; tanti eleganti, abbandonati in preda ai loro dolori; e pensando che ben presto saremo noi stessi fra quegli strazii e tormenti, cercheremo di ren­derli minori e più brevi, coll'esercizio della arità verso i Defunti, e delle altre cristiane virtù.

Per le Anime del Purgatorio è passato il tempo dei meriti!... pagano a contanti, e senza meritare nulla colla loro pazienza e col loro amore di Dio, che è pure ardentissimo. Que­sta considerazione ci animi a profittare del tempo incerto di questa vita, per fare buone opere, per liberare quelle Anime dai tormenti, e per radunare a noi stessi dei meriti, prima che ci colga la notte, secondo le parole di Gesù Cristo: “Camminate, finchè avete la luce, prima che vi colgano le tenebre, in cui non potrete più operare!”
Riflettete, inoltre, che se un tale spropria­mento fa progredire nella perfezione, ci ap­porta però insieme grazie speciali, perchè noi con questo Atto rendiamo a Dio uno speciale onore, soddisfacendo alla sua giustizia per le Anime Purganti, che così volano più presto ad aumentare il numero dei beati cittadini del Cielo. Di più mostriamo l'illimitata nostra fidu­cia in Dio, imperocchè ci gettiamo ciecamente nelle braccia della sua misericordia; atto, che il Cuor di Gesù non ti lascierà mai senza gran premio.

Anche a Maria santissima si rende con ciò un omaggio, come a Regina e Madre delle Ani­me del Purgatorio, ed Essa ben se ne ricor­derà quando saremo entrati in quel luogo di pene a scontare le nostre colpe.
Quale poi sia la ricompensa delle Anime del Purgatorio, ce lo dice santa Brigida la quale udì un giorno la voce di molte Anime Pur­ganti che gridavano: “O Dio! ricompensa co­loro che ci porgono aiuto nelle nostre pene”. - E alla fine udì una voce più forte che gri­dava: “O Signore Iddio, concedi il centuplo colla tua incomparabile onnipotenza a tutti quelli che colle loro buone opere sollecitano il momento in cui potremo vedere la tua fac­cia”. Difatti molti Santi e pie persone assi­curano d'aver ottenuto molte grazie mediante l'intercessione delle Anime penanti; perchè, sebbene non possano ottener nulla per loro, però alcuni santi Padri (e lo stesso dice santa Brigida), opinano che per gli altri possano pre­gare, perchè sono anime in grazia e amiche di Dio.

Ah sì! sono esse quelle amiche fedeli delle quali dice lo Spirito Santo: “Nessuna cosa è da paragonarsi all'amico fedele, e non è degna una massa d'oro e d'argento di essere messa in bilancia colla bontà della fede di lui. L'a­mico fedele è balsamo di vita e d'immortalità, e quelli che temono il Signore lo troveranno”.
Dunque stiamo di buon animo, nè temiamo punto, che per questo Voto, ossia Atto, ci convenga poi di stare più lungo tempo nel Purgatorio. Che se anche fosse così, il Padre Montfort, gran promotore di questa devozione, ci dice: «Mille Purgatorii sono una cosa da non valutarsi, in paragone di un solo grado di maggior gloria, che si ottenga con questo Atto». Il fuoco del Purgatorio finisce presto, ma il grado maggiore di gloria acquistato non finirà in eterno.


domenica 16 ottobre 2011

Benedetto XVI indice un Anno della Fede

Il Papa: La Chiesa non si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita




MONUMENTALE OMELIA 
L'ANNO DELLA FEDE
11.10.2012  *  24.11.2013



OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!


Con gioia celebro oggi la Santa Messa per voi, che siete impegnati in molte parti del mondo sulle frontiere della nuova evangelizzazione. Questa Liturgia è la conclusione dell’incontro che ieri vi ha chiamato a confrontarvi sugli ambiti di tale missione e ad ascoltare alcune significative testimonianze. Io stesso ho voluto presentarvi alcuni pensieri, mentre oggi spezzo per voi il pane della Parola e dell’Eucaristia, nella certezza –condivisa da tutti noi – che senza Cristo, Parola e Pane di vita, non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Sono lieto che questo convegno si collochi nel contesto del mese di ottobre, proprio una settimana prima della Giornata Missionaria Mondiale: ciò richiama la giusta dimensione universale della nuova evangelizzazione, in armonia con quella della missione ad gentes.
Rivolgo un saluto cordiale a tutti voi, che avete accolto l’invito del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. In particolare saluto e ringrazio il Presidente di questo Dicastero di recente istituzione, Mons. Salvatore Fisichella, e i suoi collaboratori.
Veniamo ora alle Letture bibliche, nelle quali oggi il Signore ci parla. La prima, tratta dal Secondo Isaia, ci dice che Dio è uno, è unico; non ci sono altri dèi all’infuori del Signore, e anche il potente Ciro, imperatore dei persiani, fa parte di un disegno più grande, che solo Dio conosce e porta avanti. Questa Lettura ci dà il senso teologico della storia: i rivolgimenti epocali, il succedersi delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto. La teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico, quello sguardo che il Concilio Vaticano II ha trasmesso nei suoi Documenti, e che i miei Predecessori, il Servo di Dio Paolo VI e il Beato Giovanni Paolo II, hanno illustrato con il loro Magistero.
La seconda Lettura è l’inizio della Prima Lettera ai Tessalonicesi, e già questo è molto suggestivo, perché si tratta della lettera più antica a noi pervenuta del più grande evangelizzatore di tutti i tempi, l’apostolo Paolo. Egli ci dice anzitutto che non si evangelizza in maniera isolata: anche lui infatti aveva come collaboratori Silvano e Timoteo (cfr 1 Ts 1,1), e molti altri. E subito aggiunge un’altra cosa molto importante: che l’annuncio dev’essere sempre preceduto, accompagnato e seguito dalla preghiera. Scrive infatti: “Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere” (v. 2). L’Apostolo si dice poi ben consapevole del fatto che i membri della comunità non li ha scelti lui, ma Dio: “siete stati scelti da lui” – afferma (v. 4). Ogni missionario del Vangelo deve sempre tenere presente questa verità: è il Signore che tocca i cuori con la sua Parola e il suo Spirito, chiamando le persone alla fede e alla comunione nella Chiesa. Infine, Paolo ci lascia un insegnamento molto prezioso, tratto dalla sua esperienza.

Egli scrive: “Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con piena certezza” (v. 5). L’evangelizzazione, per essere efficace, ha bisogno della forza dello Spirito, che animi l’annuncio e infonda in chi lo porta quella “piena certezza” di cui parla l’Apostolo. Questo termine “certezza”, nell’originale greco, è pleroforìa: un vocabolo che non esprime tanto l’aspetto soggettivo, psicologico, quanto piuttosto la pienezza, la fedeltà, la completezza – in questo caso dell’annuncio di Cristo. Annuncio che, per essere compiuto e fedele, chiede di venire accompagnato da segni, da gesti, come la predicazione di Gesù. Parola, Spirito e certezza – così intesa – sono dunque inseparabili e concorrono a far sì che il messaggio evangelico si diffonda con efficacia.
Ci soffermiamo ora sul brano del Vangelo. Si tratta del testo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare, che contiene la celebre risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Ma, prima di giungere a questo punto, c’è un passaggio che si può riferire a quanti hanno la missione di evangelizzare.

Infatti, gli interlocutori di Gesù – discepoli dei farisei ed erodiani – si rivolgono a Lui con un apprezzamento, dicendo: “Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno” (v. 16). E’ proprio questa affermazione, seppure mossa da ipocrisia, che deve attirare la nostra attenzione. I discepoli dei farisei e gli erodiani non credono in ciò che dicono. Lo affermano solo come una captatio benevolentiae per farsi ascoltare, ma il loro cuore è ben lontano da quella verità; anzi, essi vogliono attirare Gesù in una trappola per poterlo accusare. Per noi, invece, quell’espressione è preziosa: Gesù, in effetti, è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità. Egli stesso è questa “via di Dio”, che noi siamo chiamati a percorrere. Possiamo richiamare qui le parole di Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6). E’ illuminante in proposito il commento di sant’Agostino: “Era necessario che Gesù dicesse: «Io sono la via, la verità e la vita», perché, una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta. La via conduceva alla verità, conduceva alla vita ... E noi dove andiamo, se non a Lui? e per quale via camminiamo, se non attraverso di Lui?” (In Ioh 69, 2). I nuovi evangelizzatori sono chiamati a camminare per primi in questa Via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che dona la vita. E su questa Via non si cammina da soli, ma in compagnia: un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della propria vita.

Una breve riflessione anche sulla questione centrale del tributo a Cesare. Gesù risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza.

I Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua ricchezza a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato più volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama la propria immagine impressa sulla moneta - afferma -, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in Ps., Salmo 94, 2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto … Cristo infatti abita nell’uomo interiore” (Ivi, Salmo 4, 8).

Questa parola di Gesù è ricca di contenuto antropologico, e non la si può ridurre al solo ambito politico. La Chiesa, pertanto, non si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.

Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’apposita Lettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo.

Cari fratelli e sorelle, voi siete tra i protagonisti dell’evangelizzazione nuova che la Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, ma con lo stesso entusiasmo dei primi cristiani. In conclusione, faccio mie le espressioni dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato: ringrazio Dio per tutti voi, e vi assicuro che vi porto nelle mie preghiere, memore del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. La Vergine Maria, che non ebbe paura di rispondere “sì” alla Parola del Signore e, dopo averla concepita nel grembo, si mise in cammino piena di gioia e di speranza, sia sempre il vostro modello e la vostra guida. Imparate dalla Madre del Signore e Madre nostra ad essere umili e al tempo stesso coraggiosi; semplici e prudenti; miti e forti, non con la forza del mondo, ma con quella della verità.
Amen.

domenica 18 settembre 2011

Omelia XIX di san Gregorio Magno

Amici.... non avendole trovate in rete in forma integrale.... a Dio piacendo trascriverò dai libri della mia biblioteca, e per vostra edificazione, le Omelie INTEGRALI di questo grande Pontefice della Santa Chiesa....
Vi prego solo con carità... di citare la fonte se vorrete portarle in giro nella rete queste Omelie.... e che tutto si faccia per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime....
Grazie!


PS
Le Omelie non seguiranno la cronologia perchè cercherò di metterle seguendo anche il Calendario Liturgico.... oggi infatti è del Vangelo di san Matteo 20, 1-16 che ci terrà compagnia per tutta la settimana....

http://www.manduriaoggi.it/public//San%20Gregorio%20Magno.jpg


Omelia XIX  di san Gregorio Magno, Papa, tenuta al Popolo nella Basilica di san Lorenzo nella Domenica di Settuagesima

Lezione al Santo Vangelo di san Matteo 20,1-16


1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».(Mt. 20, 1-16)
“Poiché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt. 22, 14).

1 Simile est enim regnum cae lorum homini patri familias, qui exiit primo mane conducere operarios in vineam suam;
2 conventione autem facta cum operariis ex denario diurno, misit eos in vineam suam.
3 Et egressus circa horam tertiam vidit alios stantes in foro otiosos
4 et illis dixit: “Ite et vos in vineam; et, quod iustum fuerit, dabo vobis”.
5 Illi autem abierunt. Iterum autem exiit circa sextam et nonam horam et fecit similiter.
6 Circa undecimam vero exiit et invenit alios stantes et dicit illis: “Quid hic statis tota die otiosi?”.
7 Dicunt ei: “Quia nemo nos conduxit”. Dicit illis: “Ite et vos in vineam”.
8 Cum sero autem factum esset, dicit dominus vineae procuratori suo: “ Voca operarios et redde illis mercedem incipiens a novissimis usque ad primos ”.
9 Et cum venissent, qui circa undecimam horam venerant, acceperunt singuli denarium.
10 Venientes autem primi arbitrati sunt quod plus essent accepturi; acceperunt autem et ipsi singuli denarium.
11 Accipientes autem murmurabant adversus patrem familias
12 dicentes: “Hi novissimi una hora fecerunt, et pares illos nobis fecisti, qui portavimus pondus diei et aestum!”.
13 At ille respondens uni eorum dixit: “Amice, non facio tibi iniuriam; nonne ex denario convenisti mecum?
14 Tolle, quod tuum est, et vade; volo autem et huic novissimo dare sicut et tibi.
15 Aut non licet mihi, quod volo, facere de meis? An oculus tuus nequam est, quia ego bonus sum?”.
16 Sic erunt novissimi primi, et primi novissimi ”.

(Mt.22) 14 Multi enim sunt vocati, pauci vero electi ”.

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1. - Per spiegare questa lezione evangelica si richiederebbero molte parole, ma voglio, se è possibile, abbreviarle, affinchè voi non rimaniate affaticati dalla lunga processione e dal prolisso discorso.
Il regno dei cieli viene paragonato ad un padre di famiglia che prese degli operai per lavorare la sua vigna.
Chi meglio del nostro Creatore, può essere paragonato ad un padre di famiglia? Egli regge ciò che ha creato, e possiedi i suoi eletti in questo mondo, come il padrone, nella casa, possiede i servi. Egli ha una vigna, ossia la Chiesa universale, la quale ha prodotto, come tanti tralci, quanti sono i santi che ha formati, dal giusto Abele, fino all'ultimo eletto che nascerà alla fine del mondo.
Questo padre di famiglia assume degli operai per coltivare la sua vigna, allo spuntar del giorno, all'ora Terza, all'ora Sesta, all'ora Nona ed all'ora Undicesima, perchè dal principio di questo mondo, sino alla fine, il Signore non ha cessato, e non cesserà mai di mandare predicatori ad ammaestrare la plebe dei fedeli.

Lo spuntar del giorno per il mondo, fu l'epoca da Adamo a Noè; l'ora Terza da Noè ad Abramo; la Sesta da Abramo fino a Mosè; la Nona da Mosè fino alla venuta del Nostro Signore; l'Unidicesima dalla venuta di Nostro Signore fino alla fine del mondo.
In quest'ultima ora sono stati mandati a predicare i santi Apostoli, i quali hanno ricevuto la paga intera sebbene ultimi venuti.
Il Signore non ha mai cessato di mandare operai ad istruire il suo popolo, che è quanto dire, a coltivare la sua vigna. Infatti da principio si servì dei Patriarchi, in seguito dei Dottori della Legge e dei Profeti, ed infine degli Apostoli, per coltivare i costumi morali del suo popolo; attese cioè, a coltivare la sua vigna, per mezzo di braccianti. Del resto, chiunque, in qualsiasi modo e misura, bene agendo, si è conservato nella fede retta, costui fu un operaio di tale vigna.
Gli operai, adunque, chiamati allo spuntar del giorno, all'ora Terza, Sesta e Nona raffigurano l'antico popolo ebraico, il quale mentre fin dalle origini del mondo, si studiò nei suoi eletti di adorare Dio, l'unico Dio, con fede retta, non cessò, per così dire, di lavorare nella vigna. All'ora Undecima vengono chiamati i Gentili, ai quali vien detto: "Perchè ve ne state tutto il giorno qui, senza fare nulla? (v.6). Infatti si poteva ben dire che se ne stavano tutto il giorno oziosi, essi che avevano lasciato passare un così lungo periodo del mondo senza curarsi di lavorare per la loro vera vita.
Ma considerate, o fratelli, che cosa gli interprellati rispondano: "Perchè nessuno ci ha presi a giornata" (v.7), a loro non era difatti venuto nessun Patriarca, nessun Profeta. E che cosa significa la frase: nessuno ci ha presi a lavorare, se non che: "nessuno ci ha predicato le vie della vita"?
Che cosa diremo noi a nostra discolpa, se lasceremo di fare il bene? Noi che siamo venuti alla fede quasi prima di nascere? Noi che fin dalla culla abbiamo udite le parole della vita? Noi che, col latte materno, abbiamo succhiato dal seno della santa Chiesa la bevanda della celeste predicazione?

2. - Possiamo anche distinguere, nella diversità delle ore, i vari periodi della vita di ciascun uomo, secondo le diverse età.
a - il "mattino" del nostro intelletto è la puerizia (fanciullezza);
b - nell'ora Terza possiamo individuare l'adolescenza, perchè il crescere del calore dell'età è simile al sole che si alza sull'orizzonte;
c - l'ora Sesta è poi la gioventù, perchè in essa si consolida la pienezza della forza, come il sole si arresta allo zenit;
d - l'ora Nona si riferisce alla vecchiaia, nella quale il calore della gioventù comincia a raffreddarsi, come il sole comincia la sua parabola discendente;
e - l'ora Undecima è l'età della decrepitezza o dell'estrema vecchiaia.
Si dice che gli operai sono chiamati alla vigna in ore diverse, perchè alcuni sono chiamati sulla retta via nella puerizia, altri nell'adolescenza, altri nella gioventù, altri nella vecchiaia, altri ancora persino nell'età estrema e decrepita.

Considerate, o fratelli carissimi, i vostri costumi per vedere se siete già operai di Dio!
Ognuno pensi a ciò che fa, e consideri se lavora già nella vigna del Signore, e come vi stia lavorando!
Colui che in questa vita cerca le cose "sue", costui non è ancora entrato nella vigna del Signore. Lavorano invece per il Signore coloro che non si preoccupano dei loro guadagni, ma di quelli del Signore, coloro che mossi da zelo di carità si danno allo studio della vera pietà, e vigilano ed operano per guadagnare anime, e si affrettano a condurre altri, alla vita, cioè alla vigna del Signore. Chi invece vive solo per sè, chi si pasce delle voluttà della sua carne, inseguendo le sue soddisfazioni, viene giustamente ripreso come ozioso, perchè non cura il frutto del lavoro di Dio.

3. - Chi fino all'ultima età ha trascurato di vivere per Dio, rimase ozioso per così dire, fino all'ora Undecima, giustamente a questi che poltriscono viene detto: "Perchè ve ne state tutto il giorno qui senza far nulla"? (v.6).
E' come se apertamente venisse loro detto: Dato che non avete voluto vivere per Dio nella vostra puerizia e nella vostra gioventù, oppure perchè nessuno vi aveva chiamati, ravvedetevi almeno in fine di vostra vita e, sebbene tardi, venite almeno ora nelle vie della Vita, ormai non vi rimane più molto tempo per lavorare! Il padre di famiglia chiama anche costoro, e spesso li premia prima degli altri perchè, morendo prima, entrano nel regno prima di quelli che sembravano chiamati fin dalla puerizia.
Ascoltate fratelli, infatti, non venne forse nell'Undecima ora il buon Ladrone che sulla croce confessò al Divino Crocefisso la sua fede in Lui? Per lui la sera della vita non era costituita dagli anni di età, ma dalla condanna a morte. Morì quasi contemporaneamente al suono delle parole che pronunziavano la sua salvezza, pur avendo trascorso una vita da ozioso.
Il padre di famiglia cominciò a pagare il danaro dall'ultimo vemo venuto, perchè accolse nel Paradiso il Ladrone prima di Pietro. Quanti Patriarchi vi furono prima della Legge, quanti sotto la Legge! Tuttavia quelli che furono chiamati alla venuta del Signore pervennero al regno dei cieli senza alcun ritardo. Tutti ricevono un danaro: tanto quelli che iniziarono il lavoro all'ora Undecima, come quelli che lo iniziarono sul far del giorno, e desiderarono lungamente la mercede. Tutti riceveranno la medesima retribuzione della vita eterna: tanto quelli chiamati al principio del mondo, come coloro che saranno chiamati dal Signore alla fine del mondo.
Per questo, coloro che sono andati prima sul lavoro, mormorarono dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo." (v.12), portarono difatti il peso della giornata e il caldo coloro che, chiamati dal principio del mondo, quando più lunga era la durata della vita, dovettero necessariamente sopportare a lungo i tormenti della carne. Per ciascheduno infatti, il portare il peso del giorno e del caldo, non è altro che, per un periodo di vita più lungo, essere affaticato dal calore della propria carne.

4. - Ma, si può domandare: "Come mai si dice che mormorarono coloro che, da prima, pur son chiamati nel regno"?
Sappiamo che nessun mormoratore può essere ammesso nel regno dei cieli, e che nessuno di quelli ammessi può mormorare. Ma siccome gli antichi padri, fino alla venuta del Signore, ancorchè abbiano vissuto giustamente, non furono introdotti subito nel regno (doveva, infatti, prima incarnarsi Colui che con la sua morte e risurrezione avrebbe aperto agli uomini le porte del Paradiso), il loro mormorio equivale all'aver vissuto rettamente per ricevere il regno, ma nell'esser poi tenuti lontani per lungo tempo: Quelli, infatti, che dopo aver operato secondo giustizia, furono posti nei luoghi inferiori, sebben tranquilli, in attesa del Messia, si possono raffigurare a quelli che, dopo aver lavorato nella vigna, ricevettero il danaro, perchè pervennero, dopo lunga dimora negli inferi (che non è l'Inferno in tal senso, nota mia), ai gaudi del regno.
Noi poi, giunti all'Undicesima ora, dopo il lavoro, non mormoriamo, e riceviamo il danaro perchè, dopo la venuta del Mediatore in questo mondo, siamo condotti al regno appena usciti dal corpo, e riceviamo senza alcun indugio ciò che gli antichi padri meritarono solo dopo la lunga attesa. Per questo il padre di famiglia dice: "io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te." (v.14), e siccome il conseguimento del regno dipende dalla sua buona volontà, rettamente aggiunge: " Non posso fare delle mie cose quello che voglio? "(v.15).
Stolta è la questione che l'uomo solleva contro la benignità di Dio!
Non dovrebbe ricercarsi il motivo per cui Dio non dà ciò che non si è obbligati a dare, ma piuttosto (se ciò potesse avvenire) perchè non dà ciò che si è obbligato a dare! A ragione quindi soggiunge: "Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? "(v.15).
Nessuno poi si glorii del bene fatto, nè del tempo trascorso bene, perchè la Verità, subito dopo la sentenza riportata, soggiunge: "Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi "(v.16). Ecco che seppur sapessimo quali e quante opere buone abbiamo fatto, ignoreremmo però sempre con quale sottigliezza il supremo Giudice le esaminerà; perciò ciascuno deve rallegrarsi grandemente di trovarsi, sia pure ultimo, nel regno di Dio.

5. - Ma più terribile ancora è la sentenza che segue poco più avanti:“Poiché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt. 22, 14).
Molti sono quelli che vengono a conoscenza della fede, ma pochi quelli che giungono al regno dei cieli!
Guaradete come siamo intervenuti numerosi all'odierna festa: riempiamo tutta la Chiesa; però, fratelli miei, chi può sapere quanto pochi sono quelli che fanno parte della schiera degli eletti di Dio? Ecco che la voce di tutti invoca Cristo, ma non lo invoca ugualmente la condotta di tutti!
I più seguono Dio con le parole, ma se ne allontanano coi cattivi costumi. Per questo Paolo dice: "Professano di conoscere Dio, ma lo rinnegano coi fatti" (Tito 1,16 Confitentur se nosse Deum, factis autem negant).
Per questo Giacomo dice: "La fede senza le opere è morta" (Gc.2,26 Fides sine operibus mortus est).
Per questo ancora, il Signore dice per bocca del Salmista: " Annunziai e parlai, e si moltiplicarono oltre ogni dire" (Salmo 39,6 Annuntiavi et locutus sum, moltiplicasti sunt super numerum).
Alla voce di Dio che li chiamava si moltiplicarono oltre ogni dire i fedeli, perchè spesso vengono alla fede di quelli che non giungono a far parte del numero degli eletti. Qui infatti sono mescolati, nella professione di fede, coi fedeli; ma, a causa della loro cattiva condotta, dei loro pensieri malvagi e di ogni forma di perversione, non meritano di venire annoverati nell'aldilà , coi fedeli , nel premio.
Quest'Ovile che è la Santa Chiesa, riceve i capretti assieme agli agnelli, ma per testimonianza del Vangelo, quando verrà il Giudice, separerà i buoni dai cattivi, così come il pastore separa le pecore dai capri (cfr Mt.25,32).
Fratelli carissimi, meditiamo seriamente che coloro che di qua, in questa vita, servono alle voluttà della carne, inseguendo i propri piaceri, non potranno poi essere, di là, annoverati fra le pecore del gregge. Di là il Giudice buono e giusto separerà dalla sorte degli umili quelli che si levano sulle altezze della superbia. Non possono ricevere il regno dei cieli coloro che,pur essendo quaggiù chiamati alla fede celeste, cercano invece, con tutta la brama, la terra con le sue dottrine.

6. - Voi, o fratelli carissimi, scorgete molti di questi tali proprio nella Chiesa; non dovete però imitarli, così come non dovete disperare della loro conversione.
Noi pur vedendo bene quello che è uno oggi, ignoriamo quello che potrà essere domani. Spesso colui che sembra venire dopo di noi nella vita del bene, nel ragionamento del Signore può passarci avanti, ed a stento domani potremmo noi riuscirgli a tener dietro a colui che oggi ci sembra di precedere.
Per questo Paolo ci ricorda: "Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1Cor.4,5 Itaque nolite ante tempus quidquam iudicare, quoadusque veniat Dominus, qui et illuminabit abscondita tenebrarum et manifestabit consilia cordium; et tunc laus erit unicuique a Deo.).
Per questo il Signore ci ammonisce di non voler giudicare gli altri: "Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato;" (Lc.6,37 Et nolite iudicare et non iudicabimini; et nolite condemnare et non condemnabimini. Dimittite et dimittemini;), e soggiunge come monito: "perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio "(v.38 date, et dabitur vobis: mensuram bonam, confertam, coagitatam, supereffluentem dabunt in sinum vestrum; eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis).
E' certo che quando Stefano morì per la fede, Saulo custodiva i mantelli dei lapidatori. Egli dunque lapidò tante volte quante erano le mani dei lapidatori, che aveva rese più libere per lapidare, e tuttavia, nella santa Chiesa, superò nelle fatiche colui che, perseguitando, aveva reso martire.
A due cose dobbiamo sollecitamente pensare, fratelli carissimi.
Prima: siccome molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti, nessuno presuma mai minimamente di sè, perchè, ancorchè uno sia già stato chiamato alla fede, non sa se sarà degno del regno eterno.
Seconda: nessuno, al tempo istesso, ardisca disperare per sè stesso e ancor più per il prossimo che forse vedete giacere nei vizi, perchè forse ignorano le ricchezze della misericordia divina.

7. - Infine, vi riferisco, o fratelli, un fatto accaduto di recente degno di essere ascoltato e degno di fede, affinchè se voi vi riconoscete interiormente peccatori, possiate più largamente amare la misericordia di Dio Onnipotente e maggiormente lucrare le sue grazie.
Quest'anno, nel mio monastero, che sorge presso la Chiesa dei santi Martiri Giovanni e Paolo, si fece monaco un certo fratello. Era stato ricevuto devotamente, ma egli più devotamente ancora condusse vita monacale (cfr Lib. 4, cap.38 Dialogorum).
Il fratello di costui l'aveva seguito al monastero, ma non col cuore, piuttosto col corpo. Infatti detestava quella santa vita e l'abito stesso del monaco, ed abitava nel monastero come un ospite. Pur rifuggendo, nei costumi, dal viveve come i monaci, non poteva abbandonare quella ospitalità perchè non sapeva dove andare, e non aveva i mezzi nè un impiego per campare.
La sua condotta cattiva riusciva a tutti di peso, ma i buoni monaci cercavano di sollecitare la virtù della pazienza, tollerandolo, ed anche per riguardo del fratello che molto pativa per quella situazione.
Era superbo e lussurioso al punto da ignorare se dopo questa vita ve ne fosse un'altra, e chiunque avesse voluto istruirlo su ciò, veniva da lui deriso. Nel monastero vestiva da secolare; era sciocco nel parlare, sgarbato nei movimenti, gonfio nella mente, scomposto nel vestire, dissipato nell'agire; un serio problema per tutti, perchè tutti, invece di giudicarlo, cercavano di riappacificarlo con se stesso e con Dio.
Nel mese di luglio poc'anzi trascorso, fu colpito dalla pestilenza che anche voi, ahimè ben conoscete, e fu che giunto agli estremi, cominciò ad essere incalzato dall'agonia.
La parte inferiore del corpo era già come morta, e la virtù vitale gli era rimasta soltanto nel petto e nella lingua. I fratelli tutti andavano a trovarlo, e cercavano di lenire i suoi dolori e di ben prepararlo all'infausto passaggio della morte, intercedendo, per quanto più potevano, presso Dio, affinchè lo potesse in qualche modo graziare.
Ma colui, ebbe nell'immediato che i fratelli pregavano, un enorme dragone che veniva per divorarlo, e cominciò a gridare: "Ecco, io sono stato dato in pasto ad un dragone, ma non mi può divorare perchè ci siete voi qui con me. Perchè dunque restate qui? Andatevene, affinchè egli mi possa divorare!"
Siccome i fratelli lo ammonivano di farsi il segno della Croce, egli rispondeva, per come poteva, dicendo: " Io mi voglio segnare, ma non posso, perchè sono premuto dal dragone che vuole impedirmelo. La schiuma della sua bocca mi bagna la faccia, la mia gola è stretta dalla sua bocca, le mia braccia sono da lui immobilizzate, e già il mio capo è tra le sue fauci..."
Mentre pallido e moribondo diceva talicose, i fratelli cominciarono ancor più tenacemente ad insistere nella preghiera, e ad aiutare il poveretto affinchè potesse liberamente segnarsi con il segno della Croce.
Quelle preghiere ininterrotte ed insistenti, raggiunsero la misericordia di Dio, improvvisamente, subito all'istante, in un attimo il moribondo fu liberato, e come si ebbe fatto il segno della Croce potè gridare con una voce sana: "Siano rese grazie a Dio; ecco che il dragone è andato via, e andato via colui che mi voleva divorare, è fuggito davanti alle vostre preghiere".
E immediatamente riconciliatosi con Dio, fece solenne voto di dedicarsi a Dio e di farsi vero monaco.
Da allora vive in uno stato di malattia redentrice, è oppresso dalle febbri e affranto dai dolori, il suo copro è dalla vita in giù immobilizzato, strappato alla morte, vive ora in profonda penitenza per restituire il maltorto; avviene ora infatti, per disposizione divina, che lunghi vizi siano bruciati da infermità anche lunghe, ma proprio qui in questo stato, quest'anima ha ritrovato la sua pace ed è degno ora di essere annoverato nel regno dei cieli.

Vedete fratelli, chi mai avrebbe previsto che colui veniva ora conservato in vita perchè si convertisse?
Chi mai potrebbe misurare quanto infinita sia la misericordia di Dio?
Ecco come questo giovane perverso e cattivo, in punto di morte, all'ultima ora, ha potuto vedere il dragone che aveva servito durante la vita; grazie alla preghiera dei fratelli che hanno sollecitato la misericordia di Dio, anzichè la condanna del poveretto, ha visto il dragone non per perdere la vita, ma perchè potesse comprendere chi aveva servito ed ora, sapendolo, gli opponesse la giusta resistenza e, resistendogli, lo vincesse.
Egli vide quello dal quale era stato, invisibilmente posseduto, affinchè non rimanesse più sotto il suo dominio.
Quale lingua dunque può narrare le viscere della misericordia divina?
Quale spirito non si meraviglierà dinnanzi alle ricchezze della divina pietà?
Queste ricchezze della divina pietà erano state considerate dal Salmista, quando diceva: "O mia forza, a te voglio cantare,
poiché tu sei, o Dio, la mia difesa, tu, o mio Dio, sei la mia misericordia." (Salmo 58,18 Fortitudo mea, tibi psallam,
quia, Deus, praesidium meum es: Deus meus misericordia mea.).
Considerando poi che Dio conosce, sà e vede i nostri mali, e tanto li sopporta e tollera le nostre colpe, ci riserva tuttavia il premio, attraverso la penitenza, la sofferenza, infatti il Salmista non volle chiamare Dio semplicemente "misericordioso", ma invocò la misericordia stessa: Deus meus misericordia mea!

Fratelli miei, richiamiamo ai nostri occhi il male che abbiamo commesso; pensiamo con quanta benignità Iddio ci sopporta; considieriamo quali siano le viscere di pietà, chè non solo ci perdona le colpe, ma ci promette il regno celeste anche dopo le colpe, purchè facciamo penitenza, purchè cerchiamo davvero il Suo perdono.
Diciamo con tutte le fibre del nostro cuore, diciamo ciascheduno per conto proprio, e diciamolo anche assieme: tu, o mio Dio, sei la mia misericordia, Tu che vivi e regni Trino nell'unità, e uno nella Trinità Santissima, per gli infiniti secoli dei secoli.
Così sia!

mercoledì 7 settembre 2011

Inginocchiarsi di nuovo davanti a Dio


L'ARTE CATTOLICA DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO

Il santo Padre Benedetto XVI da maggio 2008 in occasione della Festa del Corpus Domini, ha deciso, nelle Messe da lui celebrate, che i fedeli ricevano la Comunione dalla sue mani in bocca e in ginocchio, su inginocchiatoi messi a tal fine davanti all’altare. Nello stesso tempo aveva già riportato il Crocefisso sull'Altare raccomandando, con  mitezza e con responsabilizzazione, che tutte le Chiese (ossia anche le Parrocchie) si adoperassero per una corretta interpretazione della Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, la quale non ha mai fatto propria Norma quelle alcune modifiche nella Messa che, invece, presero il sopravvento producendo abusi e dissacralità nella Messa stessa.

Approfondiamo, almeno un poco, la disciplina della Chiesa su questo tema!

Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista “30 Giorni”:
Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”
Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe cattolico”.

Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Vale la pena penetrare maggiormente il suo pensiero, attraverso le pagine della sua opera “Lo spirito della Liturgia”, pubblicata quando era ancora Cardinale. Nel capitolo dedicato al tema della prostrazione, dice: “L’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani  è sconosciuta nel greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Può essere che la cultura moderna non capisca il gesto di inginocchiarsi, nella misura in cui è una cultura che si è allontanata dalla fede e non conosce ormai Colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto appropriato, anzi, interiormente necessario. Chi impara a credere, impara anche ad inginocchiarsi. Una fede o una liturgia che non conoscesse l’atto di inginocchiarsi sarebbe ammalata nel punto centrale. Là dove questo gesto sia andato perduto, bisogna impararlo di nuovo, per rimanere con la nostra preghiera in comunione con gli apostoli e i martiri, in comunione con tutto il cosmo e in unità con Gesù Cristo stesso”.
Conoscere, credere, rimanere nella fede, queste sono le condizioni di base da cui nasce il “bisogno interiore” di inginocchiarsi.

Dove la pratica di inginocchiarsi si è persa, “bisogna impararla di nuovo”, diceva l’allora Cardinale Ratzinger.
E di nuovo, nella sua prima Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis (2007), il Santo Padre riafferma: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica”.

Monsignor Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riassume quest’insegnamento papale dicendo che, ricevendo la Comunione in ginocchio e in bocca, si sottolinea “la verità della presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli e introduce più facilmente il senso di mistero”.
Inoltre egli faceva presente in una intervista a Radio Vaticana, nell'aprile 2011: "Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. Il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione.
Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti. Il Papa ha applicato e sta applicando alla lettera come deve essere celebrata la Messa voluta dalla Riforma del Concilio...", i sacerdoti e i Vescovi, pertanto, dovrebbero così obbedire al Papa nel fare proprie le sue istanze liturgiche. E lo stesso Pontefice, spiegava mons. Guido Marini, è ritornato spesso sul concetto che Roma rimane "il modello verso il quale tutte le altre chiese devono guardare".
Insomma, è il Papa a chiedere che si celebri la Liturgia con quella sacralità venuta meno nelle celebrazioni parrocchiali, ci vuole una buona dose di mala fede per dire "io non lo sapevo!"....

Ci piace sottolineare che grazie anche al Motu Proprio Summorum Pontificum, assistiamo di recente ad una responsabilizzazione da parte di molti Vescovi della Chiesa, verso questa santa disciplina. Sarebbe infatti fuorviante relegare questo prezioso MP esclusivamente al ritorno della Messa nella forma Straordinaria, poichè è il Papa stesso a richiedere attraverso questo Documento, una riforma della Messa nella forma Ordinaria, purificandola dai tanti abusi di questi anni e dove la Messa nella forma Straordinaria, invece, resta un 'ottimo esempio ed una grande testimonianza della sacralità liturgica che dobbiamo riportare allo scoperto.
Vorremmo menzionare soprattutto il Vescovo Athanasius Schenider il quale ha scritto anche un prezioso libretto "Dominus Est" edito dalla Libreria Vaticana, sul come ricevere la Sacra Comunione e il perchè dell'inginocchiarsi davanti al Mistero.

L'arte dell'inginocchiarsi è, per noi cattolici, un segno caratteristico e identificativo non semplicemente di una forma di cultura, ma molto più, di quella identità che ci vede consapevoli del Mistero di Gesù-Ostia-Santa che abbiamo davanti a noi e davanti al quale, appunto, ci inginocchiamo.
Taluni hanno frettolosamente ingannato se stessi e molti fedeli ricorrendo ad immagini della Chiesa primitiva secondo le quali, e secondo la loro interpretazione, i cristiani non si inginocchiavano davanti al Risorto, ma si prostravano!
A rigor del vero occorre dire che questa motivazione è sbagliata ed è malamente interpretata. Nessuno di fatto sa con certezza quale atteggiamento assunsero i Discepoli davanti al Cristo Risorto, parlando di prostrazione va detto che essa veniva fatta generalmente proprio da una posizione che partiva dallo stare in ginocchio e, seduti sui talloni, ci si prostrava con la fronte fino a toccare terra.
Bisogna sottolineare che in discussione non viene messo lo stare in piedi, per esempio, nelle invocazioni, nell'ascoltare la Parola di Dio, o nel seguire i canti, quanto piuttosto assistiamo da tempo ad una battaglia contro la forma dell'inginocchiarsi.

Del resto, per noi Cattolici, vale per tutto il suggerimento della Sacra Scrittura che lo stesso sante Padre Domenico insegnava ai suoi Frati:

Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6).

Sant'Agostino, con una immagine efficace, ci spiega la nostra situazione.
E' vero, spiega il santo Padre della Chiesa, che la nostra fede cristiana è racchiusa nella gioia della Risurrezione, la Pasqua rende incontenibile la nostra gioia con inni, salmi, canti di lode e giubilo, ma la nostra vita sulla terra è una Quaresima!

Il santo Padre Agostino, in alcune sue catechesi, rimarca l'atteggiamento che dobbiamo assumere, ci ricorda che la Pasqua per noi è prefigurazione della gloria che vivremo mentre, la realtà che viviamo sulla terra è la Quaresima, per questo la Chiesa insegna il digiuno, la penitenza, la prostrazione, quello stare in ginocchio mentre mendichiamo davanti a Dio le nostre suppliche. Sant'Agostino cita, come esempio i passi dei Vangeli in cui è insegnato quale atteggiamento dobbiamo assumere quando Preghiamo, quando siamo davanti al Signore:

- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».

In un articolo comparso sull'Osservatore Romano 4 agosto 2008, così spiegava mons. Nicola Bux: Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'Eucaristia. L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce:  "Anche il presbitero...quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo".  Il prete non escogita nulla, ma col suo servizio deve rendere al meglio agli occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli, il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il precursore:  "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto:  l'effetto dipende dalla nostra fede e dal nostro amore.

"è necessario che egli cresca e io diminuisca", per fare questo è indispensabile che ci si attivi non solo spiritualmente, ma anche esternamente con atteggiamenti atti a far capire come funziona questo meccanismo:
- inginocchiandomi davanti all'Altissimo, Egli cresce di importanza davanti a me, io mi faccio piccolo ed umile (inginocchiandomi) davanti a Lui.
L'atteggiamento che assumiamo davanti agli altri, poichè siamo umani e sensibili ai gesti, ai segni, è pertanto indispensabile per dare una vera, o presunta, o perfino una falsa immagine del Mistero che celebriamo!
Nella Lettera alla Congregazione per il Culto Divino, del 21.9.2009, il futuro beato, Giovanni Paolo II, così scriveva e ammoniva:  "Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".

" anche senza tante parole e spiegazioni "....  Spesso è l'atteggiamento che assumiamo ad essere per noi la testimonianza più concreta di quello in cui crediamo.

Se vogliamo essere credibili, dobbiamo assumere anche un atteggiamento di credibilità: se diciamo che Dio è Vivo è vero nell'Eucarestia, allora non possiamo restare in piedi, o peggio seduti ( a meno che non vi sia qualche grave impedimento fisico) è la stessa virtù dell'umiltà sincera che ci fa piegare le ginocchia davanti al Sommo Re per poter supplicare ieri come oggi:
- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio......;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore»...

Sia lodato Gesù Cristo!
LDCaterina63
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