Chi di noi uomini potrà mai conoscere
tutti i tesori della
sapienza e della scienza racchiusi in Cristo (Cf. Col 2, 3) e nascosti
nella povertà della sua carne? Poiché per noi si è fatto povero, pur
essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà (Cf. 2 Cor 8, 9).
Quando assunse la natura mortale e consumò la morte, si mostrò nella
povertà, ma promise le sue ricchezze che aveva differite, non le perse
per essergli state tolte.
Quanto è immensa la sua bontà che
riserva per
coloro che lo temono, ma che concede a chi conserva la sua speranza in
lui! (Cf. Sal 30, 20) In parte infatti già conosciamo, nell'attesa che
venga la perfezione (Cf. 1 Cor 13, 12). Per farci diventare capaci di
possederlo egli, uguale al Padre nella natura divina e divenuto simile a
noi nella natura di servo, ci rifà a somiglianza di Dio.
L'unico Figlio
di Dio, divenuto figlio dell'uomo, fa diventare figli di Dio molti
figli dell'uomo; e nutrendo i servi con l'assumere la natura visibile di
servo, li rende figli, capaci di poter vedere la natura di Dio. Infatti
siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato quello che
saremo. Sappiamo che quando ciò verrà manifestato saremo simili a lui,
perché lo vedremo quale egli é (1 Gv 3, 2).
In che senso in lui ci
sono tesori di sapienza e di scienza, in che senso si parla di ricchezze
divine se non perché ci basteranno?
E in che senso è grande la sua
bontà se non perché ci sazierà? Mostraci dunque il Padre e
ci basta (Gv 14, 8). E in un Salmo un tale - che è uno di noi o
parla in noi o per noi - gli dice: Mi sazierò quando si manifesterà la
tua gloria (Cf. Sal 16, 15). Egli e il Padre sono una cosa sola (Cf. Gv
10, 30) e chi vede lui vede anche il Padre (Cf. Gv 14, 9). Perciò il
Signore potente è il re della gloria (Sal 23, 10). Convertendoci
ci mostrerà il suo volto e noi saremo salvi (Cf. Sal 79, 4) e ci
sazieremo e questo ci basterà.
Gli
dica
pertanto il nostro cuore: Ho cercato il tuo volto. Il tuo volto,
Signore io cerco, non nascondermi la tua faccia (Sal 26, 8-9). Ed
egli risponderà al nostro cuore: Chi mi ama osserva i miei
comandamenti, e chi ama me sarà amato dal Padre mio e io pure l'amerò e
gli manifesterò me stesso (Gv 14, 21). Le persone alle quali
rivolgeva queste parole lo vedevano certo con gli occhi e udivano con le
orecchie il suono della sua voce e potevano afferrare con il loro cuore
umano la sua umanità. Ma ciò che occhio non vide né orecchio udì né
cuore di uomo poté afferrare, questo egli prometteva di mostrare a
coloro che lo amano (Cf. 1 Cor 2, 9). Finché questo non avviene, finché
non ci mostra colui che potrà bastarci (Cf. Gv 14, 8), finché non
berremo lui fonte della vita e non ci sazieremo di lui (Cf. Gv 7, 38);
mentre, camminando nella fede, pellegriniamo lontani da lui (Cf. 2 Cor
5, 6-7), mentre abbiamo fame e sete di giustizia (Cf. Mt 5, 6), mentre
desideriamo con indicibile ardore la bellezza della sua natura divina,
celebriamo con pia devozione il Natale della sua natura di servo.
Non
ancora possiamo contemplarlo come generato dal Padre prima dell'aurora
(Cf. Sal 109, 3): celebriamolo con solennità come nato dalla Vergine nel
cuore della notte. Non ancora possiamo comprenderlo perché davanti al
sole persiste il suo nome (Cf. Sal 71, 17): riconosciamo la sua dimora
posta sotto il sole. Non ancora possiamo contemplare l'Unigenito nel
seno del Padre suo: celebriamo lo sposo che esce dalla stanza nuziale
(Cf. Sal 18, 6). Non
ancora siamo in grado di partecipare alla mensa del
Padre nostro: riconosciamo la mangiatoia del Signore nostro Gesù
Cristo.
La stola
bianca indossata dal Papa al posto di quella tradizionale rossa, a
sottolineare la solennità mariana. Il coro spagnolo che accompagna il
momento conclusivo della breve preghiera ai piedi della statua. La
deposizione dell'omaggio floreale, la cui composizione è curata dagli
addetti ai Giardini vaticani. Sono alcune caratteristiche del rito che
avrà luogo in Piazza di Spagna l'8 dicembre, indicate dal maestro delle
Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini,
alla vigilia della visita di Benedetto XVI all'Immacolata.
Il
monumento fu costruito per ricordare la definizione da parte di Pio IX,
l'8 dicembre 1854, del dogma del concepimento sine macula della Vergine.
Duecento vigili del fuoco pontifici collocarono la statua bronzea della
Vergine sulla colonna marmorea - entrambe progettate da Luigi Poletti -
poi offrirono una corona di fiori deposta sulla sommità. Lo stesso Papa
Mastai Ferretti l'8 dicembre 1857 inaugurò il monumento da una tribuna
posta davanti al Palazzo dell'Ambasciata di Spagna, avviando di fatto la
tradizione dei pellegrinaggi.
Nel 1908 la vicina parrocchia di
sant'Andrea delle Fratte cominciò a organizzare e a regolare il flusso
dei fedeli romani e, a partire dal 1938, la Pontificia Accademia
dell'Immacolata curò l'organizzazione dell'avvenimento, che assunse le
caratteristiche odierne: ai pompieri, all'ambasciatore di Spagna, ai
religiosi e chierici della città, ai rappresentanti di collegi,
seminari, confraternite e al laicato cattolico, si uniron0 in forma
ufficiale le autorità civili cittadine, provinciali e regionali, le
associazioni dei lavoratori comunali e delle altre realtà produttive
dell'Urbe.
Dopo la fine dello Stato Pontificio fu Pio XII -
romano di nascita - il primo Papa a recarsi personalmente a compiere
l'atto di omaggio all'Immacolata. L'occasione, l'8 dicembre del 1953, fu
l'inizio dell'Anno Mariano. E Giovanni XXIII, a poco più di un mese
dalla sua incoronazione, vi si recò per la prima volta, nel 1958 per poi
tornarvi nel 1960 e nel 1961. Dopo di lui il gesto divenne
consuetudine con Paolo VI, che vi andò anche nel pomeriggio dell'8
dicembre 1965, dopo la solenne chiusura del concilio Vaticano II e che
nel periodo della crisi petrolifera si recò in Piazza di Spagna con la
carrozzella trainata da un cavallo.
Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI hanno mantenuto viva la tradizione.
Vergine amabilissima, che sino ab eterno foste l'oggetto prediletto
de' Divini Amori, ottenete anche a noi tutti di farvi sempre caro
oggetto di nostra devozione.
Ave Maria... Dio ti Salvi o Maria, nostra Madre Dolce e Pia, oh
Maria nostra Avvocata o Concetta Immacolata. Tota pulchra es Maria ! Et macula originalis non est in te! Tu Gloria Jerusalem! Tu
Laetitia Israel! Tu honorificentia populi
nostri, tu advocata peccatorum! Oh
Maria! Oh Maria! Virgo Prudentissima, Mater
Clementissima! Ora pro nobis, intercede pro
nobis; ad Dominum Jesum Christum!
In Conceptione tua Virgo
Immaculata fuisti. Ora pro nobis Patrem cujus
Filium peperisti. Felix es, sacra Virgo Maria,
et omni laude dignissima. Quae
serpentis caput virgineo pede contrivisti.
"La
morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua
vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55). Il
cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della
morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini
dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla....
ossia, offerta di tutte le opere satisfattorie e di
tutti i suffragi a favore delle Anime Purganti.
Questo Atto eroico di carità a vantaggio delle Anime del Purgatorio
consiste in una spontanea offerta, che fa il fedele a Sua Divina
Maestà, di tutte le sue opere soddisfattorie in vita, e di tutti i
suffragi che può egli avere dopo morte, a vantaggio delle sante Anime
del Purgatorio.
Fu questo Atto approvato dal sommo Pontefice
Gregorio XV, quando, con sua Bolla Pastoris Aeterni, approvò
l'istituto del Consorzio dei Fratelli, fondato dal Ven. P. Domenico di
Gesù Maria, Carmelitano Scalzo, in cui, tra gli altri pii esercizii a
pro dei defunti, vi è quello di offrire e consacrare a loro suffragio
la parte satisfattoria delle proprie opere. In séguito, questa pia
pratica venne diffusa con ammirabile successo dal Padre D. Giuseppe
Gaspare Oliden Teatino, il quale suggerì inoltre di rimettere nelle
mani della Santissima Vergine queste opere e suffragi, aflînchè ne sia
la distributrice a favore di quelle sante Anime che Ella vuole più
presto liberare dalle pene del Purgatorio. Con tale offerta per altro
non si cede che il frutto speciale e personale di ciascuno, talchè ai
Sacerdoti non viene impedito di applicare la Santa Messa secondo la
intenzione di quelli che loro diedero l'elemosina; né ai fedeli vien
tolta la libertà di potere offrire, quando vogliono, le loro opere
buone al Signore per qualche fine speciale; ad esempio, per impetrare
grazie o rendere grazie per favori ottenuti.
Questo Atto
eroico di carità fu arricchito di molti favori, con Decreto del 23
agosto 1728, dal Sommo Pontefice Benedetto XIII, confermati poi da
Papa Pio VII il 12 dicembre 1788; i quali favori furono quindi dal
Sommo Pontefice Pio IX, con Decreto della Sacra Congregazione delle
Indulgenze del 10 settembre 1852, specificati nel modo seguente:
I. I Sacerdoti che avranno fatto la detta offerta potranno godere, in
tutti i giorni, l'indulto dell'Altare privilegiato personale.
II. Tutti i fedeli che avranno fatto la stessa offerta possono lucrare:
Indulgenza Plenaria applicabile solamente ai Defunti ìn qualunque
giorno facciano la Santa Comunione, purchè visitino una Chiesa o
pubblico Oratorio, ed ivi preghino per qualche spazio di tempo secondo
la intenzione del Sommo Pontefice.
III. Similmente potranno
lucrare Indulgenza Plenaria tutti i lunedì dell'anno ascoltando la
Santa Messa in suffragio delle Anime del Purgatorio, ed adempiendo le
altre condizioni summenzionate.
IV. Tutte le Indulgenze che sono
concesse o che si concederanno in appresso, le quali si lucrano dai
fedeli che hanno fatto questa offerta, possono applicarsi alle Anime
del Purgatorio.
Finalmente lo stesso Sommo Pontefice Pio IX,
avendo in vista quei giovanetti che ancora non si comunicano, e
così pure gl'infermí, i cronici, i vecchi, i contadini, i carcerati ed
altre persone che non possono comunicarsi, o non possono ascoltare la
Santa Messa nel lunedì, concesse che sia valevole quella che
ascolteranno nella Domenica: e per quei fedeli che ancora non si
comunicano, o sono impediti di potersi comunicare, ha rimesso
all'arbitrio dei rispettivi Ordinarii di autorizzare i confessori per
la commutazione delle opere.
Si avverte infine che, sebbene
questo Atto eroico di carità venga indicato, in alcuni foglietti
stampati, col nome di Voto eroico di carità, e venga nei medesimi
espressa anche una formula di tale offerta, pure non si intende questo
voto fatto in modo che obblighi sotto peccato; come pure non è
necessario di pronunziare l'indicata formula o un'altra qualsiasi,
bastando l'obbligazione fatta col cuore per essere partecipi delle
indicate Indulgenze e privilegi.
OFFERTA DI TUTTE LE
BUONE OPERE in vantaggio delle Anime Purganti.
Per vostra maggior gloria, o mio Dio, Uno nell'essenza
e Trino nelle Persone, e per imitare più dappresso il dolcissimo
nostro Redentore Gesù Cristo, come pure per mostrare la mia sincera
servitù verso la Madre di misericordia Maria santissima, che è Madre
anche delle povere Anime del Purgatorio, io propongo di cooperare alla
redenzione e libertà di quelle Anime prigioniere, debitrici ancora
verso la divina giustizia delle pene dovute ai loro peccati: e, nel
modo che posso lecitamente (senza obbligarmi però sotto peccato
alcuno), vi prometto di buon cuore e vi offro il mio spontaneo voto di
volere liberare dal Purgatorio tutte le Anime che Maria santissima
vuol liberare; e però nelle mani di questa Madre piissima pongo tutte
le mie opere soddisfattorie, e quelle da altri a me applicate, si in
vita come in morte, e dopo il mio passaggio all'eternità. Vi
prego, o mio Dio, a voler accettare e confermare questa mia offerta,
siccome io ve la rinnovo e confermo ad onor vostro, e per la salute
dell'anima mia. Che se per avventura le mie opere
soddisfattorie non bastassero a pagare tutti i debiti di quelle Anime,
cui la Vergine santissima vuol liberare, ed i miei proprii debiti
per le mie colpe, che odio e detesto di vero cuore, mi offro, o
Signore, a pagarvi, se a Voi così piacerà, nelle pene del Purgatorio
quello che manca, abbandonandomi del resto fra le braccia della vostra
misericordia, e tra quelle della dolcissima mia Madre Maria. Di questa
mia offerta e protesta voglio testimonii tutti i Beati del Cielo, e
la Chiesa tutta militante e la penante nel Purgatorio. Così sia.
ALTRA FORMULA PIÙ BREVE PER L'ATTO EROICO.
Io
N. N., in unione ai meriti di Gesù e di Maria, depongo nelle mani di
Maria santissima e vi offro, mio Dio, per le Anime del Purgatorio, la
parte satisfattoria di tutte le buone opere che farò nel corso di mia
vita, e che altri potrà applicare per me in vita e dopo morte. E ciò
per vostra maggior gloria, per imitare l'esempio vostro, o Gesù mio,
che tutto Voi deste per le anime; e per accrescere in Cielo il numero
dei vostri adoratori eterni e dei glorificatori della Madre vostra, che
intercedano per me.
VANTAGGI E PREGI DELL'ATTO
EROICO.
Ah! come è vero, che la carità è la chiave, che
apre a noi e agli altri la porta del Cielo! Questo voto è destinato,
come dice il santo Padre Pio IX nel suo bellissimo Breve dato il 20
novembre 1854, a portare alle Anime purganti il maggior conforto, che
mai si possa dar loro dagli uomini. Perchè mentre le altre devozioni,
preghiere, sante Messe, elemosine, Indulgenze, ecc., sono per esse come
goccie o ruscelletti di acqua fresca, che cadono di tempo in tempo
sulle fiamme del Purgatorio, l'Atto eroico le riunisce tutte, scorrendo
continuamente, a guisa di un fonte perenne o di un gran fiume, nel
Purgatorio, vita nostra durante ed anche dopo. L'Atto eroico non
toglie che dobbiamo continuare a far per le Anime purganti tutti i
suffragi, che possiamo; ma raddoppia il merito di essi, e raccoglie,
come fa una diligente spigolatrice, anche tutte le spighe dei meriti, a
cui spesso non si bada. Oh ! i bei manipoli, che si possono mandare in
un giorno al Purgatorio, o, per meglio dire, al Paradiso, da chi,
avendolo emesso, vive santamente occupato in tali suffragi!
Ma
non basta; piove altresì sopra quelle Anime, assetate dal fuoco che le
strugge, un'altra rugiada continua, e questa è il merito
soddisfattorio di tutto il bene che voi farete, anche senza pensare in
quel momento, ne rinnovar sempre l'intenzione, che ciò sia per le Anime
purganti. Il vostro sudore nel lavorare nella vigna del Signore,
nell'assistere malati, aiutare miserabili, ecc., ristora le povere
Anime; le vostre elemosine ai poveri diminuiscono l'estrema loro
penuria; i vostri dolori raddolciscono le loro pene; se voi soffrite con
pazienza gli affronti, esse si sentono consolate; e le vostre
penitenze le avvicinano alle gioie ed ai gaudii del Paradiso. Quanto
prezioso è dunque questo voto, ossia Atto eroico! Già l'ho detto, chi
ha fatto questo voto acquista: I.° ad ogni Comunione, II.° ogni lunedì,
nell'ascoltare la Santa Messa, una Indulgenza Plenaria per i
Defunti. In tal modo, senza addossarci molti obblighi particolari,
possiamo donare ad essi cento volte più di prima che avessimo fatto un
tale atto. Procuriamo dunque di starcene in grazia di Dio, e di far
costantemente delle buone opere.
Inoltre le nostre preghiere
per tale via passano per le mani di Maria santissima. E per le mani
benedette di Maria Vergine i suffragi vanno molto più sicuri, e allo
stesso tempo aumentano di valore; perchè la Madonna santissima unisce i
suoi sommi meriti ai nostri sforzi meschini. Di più, noi siamo
soggetti a dimenticarci di certe Anime e di altre non sappiamo i
bisogni. Dopo questa offerta però, colla quale facciamo la Madonna,
nostra amministratrice, Essa farà tutte le cose per noi nel miglior
modo possibile; non si dimenticherà di nessuno, adempiendo Essa tutti i
nostri doveri verso le Anime sante del Purgatorio.
Per tale
maniera l'Atto eroico rende le Indulgenze tutte applicabili ai
Defunti, e ci leva il peso di dover sempre rinnovare l'intenzione
d'acquistare Indulgenze per le Anime purganti. Chi vive cristianamente
può guadagnare senza paragone maggiori Indulgenze di quelle onde
abbisogni per se. Ora questo voto fa si che nessuna Indulgenza vada
perduta, perchè tutte vengono applicate, e fruttano alle povere Anime
del Purgatorio. Quanti vantaggi!
Anche a noi stessi quest'Atto
procura straordinarii vantaggi. Difatti: Io ogni volta che facciamo
un'opera buona, rinunziamo, è vero, al merito soddisfattorio, ma nelle
stesso tempo aggiungiamo all'opera un nuovo grado di virtù, coll'Atto
di carità che si fa alle Anime purganti; e così noi stessi guadagnamo
un merito reale che non può esserci tolto.
Siccome poi il cedere
la soddisfazione per le pene del Purgatorio è un bene temporale, ed il
merito che perciò si acquista verso Iddio, rende degni d'un nuovo
grado di ricompensa eterna, così con tale cessione d'un minor bene
acquistiamo un bene maggiore, cioè, per un bene limitato un bene
infinito. Che cambio vantaggioso!
In secondo luogo l'Atto
eroico, nella sua essenza, è una nuova forma del consiglio evangelico
della povertà volontaria, ma in grado più sublime. Gesù aveva detto:
“Se vuoi essere perfetto va, vendi tutto quello, che hai, dàllo ai
poveri e poi vieni a seguirmi”. Ora così fanno tutti quelli che
emettono questo Atto eroico, in attesa di questi beni spirituali, che
dalle anime pie sono stimati mille volte più pregevoli dei beni
temporali. Terzo vantaggio: la carità è il vincolo della perfezione:
ora l'anima di questo Atto è appunto la carità. Dunque questa
espropriazione ci farà necessariamente progredire nella perfezione
cristiana.
La frequente memoria delle Anime del Purgatorio ci
darà il santo timore del peccato, ci distaccherà dal mondo, ci
spronerà alle buone opere, e ci accenderà nel cuore l'amore di Dio, e
il dolore di averlo offeso. Ci guarderemo maggiormente dai peccati
veniali, pensando che quelle Anime soffrono tanto anche per piccoli
peccati ed imperfezioni. Rinunzieremo ancora più facilmente a tutti
gli attacchi disordinati dei beni di questa terra, al desiderio di
piacere alle genti, di essere amati, se mireremo spesso coll'occhio
dell'anima laggiù nelle caverne sotterranee il fuoco del Purgatorio;
ed in esso tanti ricchi e dotti del mondo nella più squallida miseria;
tanti eleganti, abbandonati in preda ai loro dolori; e pensando che ben
presto saremo noi stessi fra quegli strazii e tormenti, cercheremo di
renderli minori e più brevi, coll'esercizio della arità verso i
Defunti, e delle altre cristiane virtù.
Per le Anime del
Purgatorio è passato il tempo dei meriti!... pagano a contanti, e senza
meritare nulla colla loro pazienza e col loro amore di Dio, che è pure
ardentissimo. Questa considerazione ci animi a profittare del tempo
incerto di questa vita, per fare buone opere, per liberare quelle Anime
dai tormenti, e per radunare a noi stessi dei meriti, prima che ci
colga la notte, secondo le parole di Gesù Cristo: “Camminate, finchè
avete la luce, prima che vi colgano le tenebre, in cui non potrete più
operare!” Riflettete, inoltre, che se un tale spropriamento fa
progredire nella perfezione, ci apporta però insieme grazie speciali,
perchè noi con questo Atto rendiamo a Dio uno speciale onore,
soddisfacendo alla sua giustizia per le Anime Purganti, che così volano
più presto ad aumentare il numero dei beati cittadini del Cielo. Di
più mostriamo l'illimitata nostra fiducia in Dio, imperocchè ci
gettiamo ciecamente nelle braccia della sua misericordia; atto, che il
Cuor di Gesù non ti lascierà mai senza gran premio.
Anche a
Maria santissima si rende con ciò un omaggio, come a Regina e Madre
delle Anime del Purgatorio, ed Essa ben se ne ricorderà quando saremo
entrati in quel luogo di pene a scontare le nostre colpe. Quale poi
sia la ricompensa delle Anime del Purgatorio, ce lo dice santa Brigida
la quale udì un giorno la voce di molte Anime Purganti che gridavano:
“O Dio! ricompensa coloro che ci porgono aiuto nelle nostre pene”. - E
alla fine udì una voce più forte che gridava: “O Signore Iddio,
concedi il centuplo colla tua incomparabile onnipotenza a tutti quelli
che colle loro buone opere sollecitano il momento in cui potremo vedere
la tua faccia”. Difatti molti Santi e pie persone assicurano d'aver
ottenuto molte grazie mediante l'intercessione delle Anime penanti;
perchè, sebbene non possano ottener nulla per loro, però alcuni santi
Padri (e lo stesso dice santa Brigida), opinano che per gli altri
possano pregare, perchè sono anime in grazia e amiche di Dio.
Ah sì! sono esse quelle amiche fedeli delle quali dice lo Spirito Santo:
“Nessuna cosa è da paragonarsi all'amico fedele, e non è degna una
massa d'oro e d'argento di essere messa in bilancia colla bontà della
fede di lui. L'amico fedele è balsamo di vita e d'immortalità, e quelli
che temono il Signore lo troveranno”. Dunque stiamo di buon animo,
nè temiamo punto, che per questo Voto, ossia Atto, ci convenga poi di
stare più lungo tempo nel Purgatorio. Che se anche fosse così, il Padre
Montfort, gran promotore di questa devozione, ci dice: «Mille
Purgatorii sono una cosa da non valutarsi, in paragone di un solo grado
di maggior gloria, che si ottenga con questo Atto». Il fuoco del
Purgatorio finisce presto, ma il grado maggiore di gloria acquistato
non finirà in eterno.
Il Papa: La Chiesa non
si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera
di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello
religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è
essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità,
richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la
propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la
nostra vita
Con gioia celebro oggi la
Santa Messa per voi, che siete impegnati in molte parti del mondo
sulle frontiere della nuova evangelizzazione. Questa Liturgia è la
conclusione dell’incontro che ieri vi ha chiamato a confrontarvi sugli
ambiti di tale missione e ad ascoltare alcune significative
testimonianze. Io stesso ho voluto presentarvi alcuni pensieri, mentre
oggi spezzo per voi il pane della Parola e dell’Eucaristia, nella
certezza –condivisa da tutti noi – che senza Cristo, Parola e Pane di
vita, non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).
Sono lieto
che questo convegno si collochi nel contesto del mese di ottobre,
proprio una settimana prima della Giornata Missionaria Mondiale: ciò
richiama la giusta dimensione universale della nuova evangelizzazione,
in armonia con quella della missione ad gentes. Rivolgo un saluto
cordiale a tutti voi, che avete accolto l’invito del Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. In
particolare saluto e ringrazio il Presidente di questo Dicastero di
recente istituzione, Mons. Salvatore Fisichella, e i suoi
collaboratori. Veniamo ora alle Letture bibliche, nelle quali oggi
il Signore ci parla. La prima, tratta dal Secondo Isaia, ci dice che
Dio è uno, è unico; non ci sono altri dèi all’infuori del Signore, e
anche il potente Ciro, imperatore dei persiani, fa parte di un disegno
più grande, che solo Dio conosce e porta avanti. Questa Lettura ci dà il
senso teologico della storia: i rivolgimenti epocali, il succedersi
delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun
potere terreno può mettersi al suo posto. La teologia della storia è un
aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché
gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi
totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo
complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero,
pacifico, quello sguardo che il Concilio Vaticano II ha trasmesso nei
suoi Documenti, e che i miei Predecessori, il Servo di Dio Paolo VI e il
Beato Giovanni Paolo II, hanno illustrato con il loro Magistero. La
seconda Lettura è l’inizio della Prima Lettera ai Tessalonicesi, e già
questo è molto suggestivo, perché si tratta della lettera più antica a
noi pervenuta del più grande evangelizzatore di tutti i tempi,
l’apostolo Paolo. Egli ci dice anzitutto che non si evangelizza in
maniera isolata: anche lui infatti aveva come collaboratori Silvano e
Timoteo (cfr 1 Ts 1,1), e molti altri. E subito aggiunge un’altra cosa
molto importante: che l’annuncio dev’essere sempre preceduto,
accompagnato e seguito dalla preghiera. Scrive infatti: “Rendiamo
sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere”
(v. 2). L’Apostolo si dice poi ben consapevole del fatto che i membri
della comunità non li ha scelti lui, ma Dio: “siete stati scelti da
lui” – afferma (v. 4). Ogni missionario del Vangelo deve sempre tenere
presente questa verità: è il Signore che tocca i cuori con la sua
Parola e il suo Spirito, chiamando le persone alla fede e alla
comunione nella Chiesa. Infine, Paolo ci lascia un insegnamento molto
prezioso, tratto dalla sua esperienza.
Egli scrive: “Il nostro
Vangelo, infatti, non si diffuse tra voi soltanto per mezzo della
parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con piena
certezza” (v. 5). L’evangelizzazione, per essere efficace, ha bisogno
della forza dello Spirito, che animi l’annuncio e infonda in chi lo
porta quella “piena certezza” di cui parla l’Apostolo. Questo termine
“certezza”, nell’originale greco, è pleroforìa: un vocabolo che non
esprime tanto l’aspetto soggettivo, psicologico, quanto piuttosto la
pienezza, la fedeltà, la completezza – in questo caso dell’annuncio di
Cristo. Annuncio che, per essere compiuto e fedele, chiede di venire
accompagnato da segni, da gesti, come la predicazione di Gesù. Parola,
Spirito e certezza – così intesa – sono dunque inseparabili e
concorrono a far sì che il messaggio evangelico si diffonda con
efficacia. Ci soffermiamo ora sul brano del Vangelo. Si tratta del
testo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare, che contiene la
celebre risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a
Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Ma, prima di giungere a questo
punto, c’è un passaggio che si può riferire a quanti hanno la missione
di evangelizzare.
Infatti, gli interlocutori di Gesù –
discepoli dei farisei ed erodiani – si rivolgono a Lui con un
apprezzamento, dicendo: “Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di
Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno” (v. 16). E’
proprio questa affermazione, seppure mossa da ipocrisia, che deve
attirare la nostra attenzione. I discepoli dei farisei e gli erodiani
non credono in ciò che dicono. Lo affermano solo come una captatio
benevolentiae per farsi ascoltare, ma il loro cuore è ben lontano da
quella verità; anzi, essi vogliono attirare Gesù in una trappola per
poterlo accusare. Per noi, invece, quell’espressione è preziosa: Gesù,
in effetti, è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità. Egli
stesso è questa “via di Dio”, che noi siamo chiamati a percorrere.
Possiamo richiamare qui le parole di Gesù stesso, nel Vangelo di
Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6). E’ illuminante
in proposito il commento di sant’Agostino: “Era necessario che Gesù
dicesse: «Io sono la via, la verità e la vita», perché, una volta
conosciuta la via, restava da conoscere la meta. La via conduceva alla
verità, conduceva alla vita ... E noi dove andiamo, se non a Lui? e per
quale via camminiamo, se non attraverso di Lui?” (In Ioh 69, 2). I
nuovi evangelizzatori sono chiamati a camminare per primi in questa Via
che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che
dona la vita. E su questa Via non si cammina da soli, ma in compagnia:
un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti
incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della
sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il
cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano
approdare al senso della propria vita.
Una breve
riflessione anche sulla questione centrale del tributo a Cesare. Gesù
risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il
teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato,
perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in
sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo,
che ognuno è debitore della propria esistenza.
I
Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento
all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno
interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo
immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un
Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma
sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità …
Pertanto da’ la tua ricchezza a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza
unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha
richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che
egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera
incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato più
volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama la
propria immagine impressa sulla moneta - afferma -, non esigerà Dio
dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in Ps., Salmo 94,
2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio
l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto … Cristo infatti
abita nell’uomo interiore” (Ivi, Salmo 4, 8).
Questa parola di
Gesù è ricca di contenuto antropologico, e non la si può ridurre al
solo ambito politico. La Chiesa, pertanto, non si limita a ricordare
agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e
quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione
della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio,
fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai
cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su
ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.
Proprio per dare rinnovato
impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori
dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita,
l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei
annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire
un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’apposita
Lettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50°
anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24
novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di
grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per
rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo
del nostro tempo.
Cari fratelli e
sorelle, voi siete tra i protagonisti dell’evangelizzazione nuova che la
Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, ma con lo
stesso entusiasmo dei primi cristiani. In conclusione, faccio mie le
espressioni dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato: ringrazio Dio
per tutti voi, e vi assicuro che vi porto nelle mie preghiere, memore
del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e
della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. La
Vergine Maria, che non ebbe paura di rispondere “sì” alla Parola del
Signore e, dopo averla concepita nel grembo, si mise in cammino piena di
gioia e di speranza, sia sempre il vostro modello e la vostra guida.
Imparate dalla Madre del Signore e Madre nostra ad essere umili e al
tempo stesso coraggiosi; semplici e prudenti; miti e forti, non con la
forza del mondo, ma con quella della verità. Amen.
Amici.... non avendole trovate in rete in forma integrale.... a Dio
piacendo trascriverò dai libri della mia biblioteca, e per vostra
edificazione, le Omelie INTEGRALI di questo grande Pontefice della Santa
Chiesa.... Vi prego solo con carità... di citare la fonte se
vorrete portarle in giro nella rete queste Omelie.... e che tutto si
faccia per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime.... Grazie!
PS Le
Omelie non seguiranno la cronologia perchè cercherò di metterle
seguendo anche il Calendario Liturgico.... oggi infatti è del Vangelo di
san Matteo 20, 1-16 che ci terrà compagnia per tutta la settimana....
Omelia XIX di san Gregorio Magno, Papa, tenuta al
Popolo nella Basilica di san Lorenzo nella Domenica di Settuagesima
Lezione
al Santo Vangelo di san Matteo 20,1-16
1 «Il regno dei
cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a
giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un
denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove
del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4 e
disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo
darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre
e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che
se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno
oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli
disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. 8 Quando fu sera, il
padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la
paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle
cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando
arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma
anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo però,
mormoravano contro il padrone dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato
un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il
peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di
loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con
me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a
quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che
voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi
saranno primi, e i primi ultimi».(Mt. 20, 1-16) “Poiché molti sono
chiamati, ma pochi eletti” (Mt. 22, 14).
1 Simile est enim
regnum cae lorum homini patri familias, qui exiit primo mane conducere
operarios in vineam suam; 2 conventione autem facta cum operariis ex
denario diurno, misit eos in vineam suam. 3 Et egressus circa horam
tertiam vidit alios stantes in foro otiosos 4 et illis dixit: “Ite et
vos in vineam; et, quod iustum fuerit, dabo vobis”. 5 Illi autem
abierunt. Iterum autem exiit circa sextam et nonam horam et fecit
similiter. 6 Circa undecimam vero exiit et invenit alios stantes et
dicit illis: “Quid hic statis tota die otiosi?”. 7 Dicunt ei: “Quia
nemo nos conduxit”. Dicit illis: “Ite et vos in vineam”. 8 Cum sero
autem factum esset, dicit dominus vineae procuratori suo: “ Voca
operarios et redde illis mercedem incipiens a novissimis usque ad primos
”. 9 Et cum venissent, qui circa undecimam horam venerant,
acceperunt singuli denarium. 10 Venientes autem primi arbitrati sunt
quod plus essent accepturi; acceperunt autem et ipsi singuli denarium. 11
Accipientes autem murmurabant adversus patrem familias 12 dicentes:
“Hi novissimi una hora fecerunt, et pares illos nobis fecisti, qui
portavimus pondus diei et aestum!”. 13 At ille respondens uni eorum
dixit: “Amice, non facio tibi iniuriam; nonne ex denario convenisti
mecum? 14 Tolle, quod tuum est, et vade; volo autem et huic novissimo
dare sicut et tibi. 15 Aut non licet mihi, quod volo, facere de
meis? An oculus tuus nequam est, quia ego bonus sum?”. 16 Sic erunt
novissimi primi, et primi novissimi ”.
(Mt.22) 14 Multi enim sunt
vocati, pauci vero electi ”.
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1. - Per spiegare
questa lezione evangelica si richiederebbero molte parole, ma voglio, se
è possibile, abbreviarle, affinchè voi non rimaniate affaticati dalla
lunga processione e dal prolisso discorso. Il regno dei cieli viene
paragonato ad un padre di famiglia che prese degli operai per lavorare
la sua vigna. Chi meglio del nostro Creatore, può essere paragonato
ad un padre di famiglia? Egli regge ciò che ha creato, e possiedi i suoi
eletti in questo mondo, come il padrone, nella casa, possiede i servi.
Egli ha una vigna, ossia la Chiesa universale, la quale ha prodotto,
come tanti tralci, quanti sono i santi che ha formati, dal giusto Abele,
fino all'ultimo eletto che nascerà alla fine del mondo. Questo padre
di famiglia assume degli operai per coltivare la sua vigna, allo
spuntar del giorno, all'ora Terza, all'ora Sesta, all'ora Nona ed
all'ora Undicesima, perchè dal principio di questo mondo, sino alla
fine, il Signore non ha cessato, e non cesserà mai di mandare
predicatori ad ammaestrare la plebe dei fedeli.
Lo spuntar del
giorno per il mondo, fu l'epoca da Adamo a Noè; l'ora Terza da Noè ad
Abramo; la Sesta da Abramo fino a Mosè; la Nona da Mosè fino alla venuta
del Nostro Signore; l'Unidicesima dalla venuta di Nostro Signore fino
alla fine del mondo. In quest'ultima ora sono stati mandati a
predicare i santi Apostoli, i quali hanno ricevuto la paga intera
sebbene ultimi venuti. Il Signore non ha mai cessato di mandare
operai ad istruire il suo popolo, che è quanto dire, a coltivare la sua
vigna. Infatti da principio si servì dei Patriarchi, in seguito dei
Dottori della Legge e dei Profeti, ed infine degli Apostoli, per
coltivare i costumi morali del suo popolo; attese cioè, a coltivare la
sua vigna, per mezzo di braccianti. Del resto, chiunque, in qualsiasi
modo e misura, bene agendo, si è conservato nella fede retta, costui fu
un operaio di tale vigna. Gli operai, adunque, chiamati allo spuntar
del giorno, all'ora Terza, Sesta e Nona raffigurano l'antico popolo
ebraico, il quale mentre fin dalle origini del mondo, si studiò nei suoi
eletti di adorare Dio, l'unico Dio, con fede retta, non cessò, per così
dire, di lavorare nella vigna. All'ora Undecima vengono chiamati i
Gentili, ai quali vien detto: "Perchè ve ne state tutto il giorno qui,
senza fare nulla? (v.6). Infatti si poteva ben dire che se ne stavano
tutto il giorno oziosi, essi che avevano lasciato passare un così lungo
periodo del mondo senza curarsi di lavorare per la loro vera vita. Ma
considerate, o fratelli, che cosa gli interprellati rispondano: "Perchè
nessuno ci ha presi a giornata" (v.7), a loro non era difatti venuto
nessun Patriarca, nessun Profeta. E che cosa significa la frase: nessuno
ci ha presi a lavorare, se non che: "nessuno ci ha predicato le vie
della vita"? Che cosa diremo noi a nostra discolpa, se lasceremo di
fare il bene? Noi che siamo venuti alla fede quasi prima di nascere? Noi
che fin dalla culla abbiamo udite le parole della vita? Noi che, col
latte materno, abbiamo succhiato dal seno della santa Chiesa la bevanda
della celeste predicazione?
2. - Possiamo anche distinguere,
nella diversità delle ore, i vari periodi della vita di ciascun uomo,
secondo le diverse età. a - il "mattino" del nostro intelletto è la
puerizia (fanciullezza); b - nell'ora Terza possiamo individuare
l'adolescenza, perchè il crescere del calore dell'età è simile al sole
che si alza sull'orizzonte; c - l'ora Sesta è poi la gioventù, perchè
in essa si consolida la pienezza della forza, come il sole si arresta
allo zenit; d - l'ora Nona si riferisce alla vecchiaia, nella quale
il calore della gioventù comincia a raffreddarsi, come il sole comincia
la sua parabola discendente; e - l'ora Undecima è l'età della
decrepitezza o dell'estrema vecchiaia. Si dice che gli operai sono
chiamati alla vigna in ore diverse, perchè alcuni sono chiamati sulla
retta via nella puerizia, altri nell'adolescenza, altri nella gioventù,
altri nella vecchiaia, altri ancora persino nell'età estrema e
decrepita.
Considerate, o fratelli carissimi, i vostri costumi
per vedere se siete già operai di Dio! Ognuno pensi a ciò che fa, e
consideri se lavora già nella vigna del Signore, e come vi stia
lavorando! Colui che in questa vita cerca le cose "sue", costui non è
ancora entrato nella vigna del Signore. Lavorano invece per il Signore
coloro che non si preoccupano dei loro guadagni, ma di quelli del
Signore, coloro che mossi da zelo di carità si danno allo studio della
vera pietà, e vigilano ed operano per guadagnare anime, e si affrettano a
condurre altri, alla vita, cioè alla vigna del Signore. Chi invece vive
solo per sè, chi si pasce delle voluttà della sua carne, inseguendo le
sue soddisfazioni, viene giustamente ripreso come ozioso, perchè non
cura il frutto del lavoro di Dio.
3. - Chi fino all'ultima età ha
trascurato di vivere per Dio, rimase ozioso per così dire, fino all'ora
Undecima, giustamente a questi che poltriscono viene detto: "Perchè ve
ne state tutto il giorno qui senza far nulla"? (v.6). E' come se
apertamente venisse loro detto: Dato che non avete voluto vivere per Dio
nella vostra puerizia e nella vostra gioventù, oppure perchè nessuno vi
aveva chiamati, ravvedetevi almeno in fine di vostra vita e, sebbene
tardi, venite almeno ora nelle vie della Vita, ormai non vi rimane più
molto tempo per lavorare! Il padre di famiglia chiama anche costoro, e
spesso li premia prima degli altri perchè, morendo prima, entrano nel
regno prima di quelli che sembravano chiamati fin dalla puerizia. Ascoltate
fratelli, infatti, non venne forse nell'Undecima ora il buon Ladrone
che sulla croce confessò al Divino Crocefisso la sua fede in Lui? Per
lui la sera della vita non era costituita dagli anni di età, ma dalla
condanna a morte. Morì quasi contemporaneamente al suono delle parole
che pronunziavano la sua salvezza, pur avendo trascorso una vita da
ozioso. Il padre di famiglia cominciò a pagare il danaro dall'ultimo
vemo venuto, perchè accolse nel Paradiso il Ladrone prima di Pietro.
Quanti Patriarchi vi furono prima della Legge, quanti sotto la Legge!
Tuttavia quelli che furono chiamati alla venuta del Signore pervennero
al regno dei cieli senza alcun ritardo. Tutti ricevono un danaro: tanto
quelli che iniziarono il lavoro all'ora Undecima, come quelli che lo
iniziarono sul far del giorno, e desiderarono lungamente la mercede.
Tutti riceveranno la medesima retribuzione della vita eterna: tanto
quelli chiamati al principio del mondo, come coloro che saranno chiamati
dal Signore alla fine del mondo. Per questo, coloro che sono andati
prima sul lavoro, mormorarono dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato
un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il
peso della giornata e il caldo." (v.12), portarono difatti il peso della
giornata e il caldo coloro che, chiamati dal principio del mondo,
quando più lunga era la durata della vita, dovettero necessariamente
sopportare a lungo i tormenti della carne. Per ciascheduno infatti, il
portare il peso del giorno e del caldo, non è altro che, per un periodo
di vita più lungo, essere affaticato dal calore della propria carne.
4.
- Ma, si può domandare: "Come mai si dice che mormorarono coloro che,
da prima, pur son chiamati nel regno"? Sappiamo che nessun
mormoratore può essere ammesso nel regno dei cieli, e che nessuno di
quelli ammessi può mormorare. Ma siccome gli antichi padri, fino alla
venuta del Signore, ancorchè abbiano vissuto giustamente, non furono
introdotti subito nel regno (doveva, infatti, prima incarnarsi Colui che
con la sua morte e risurrezione avrebbe aperto agli uomini le porte del
Paradiso), il loro mormorio equivale all'aver vissuto rettamente per
ricevere il regno, ma nell'esser poi tenuti lontani per lungo tempo:
Quelli, infatti, che dopo aver operato secondo giustizia, furono posti
nei luoghi inferiori, sebben tranquilli, in attesa del Messia, si
possono raffigurare a quelli che, dopo aver lavorato nella vigna,
ricevettero il danaro, perchè pervennero, dopo lunga dimora negli inferi
(che non è l'Inferno in tal senso, nota mia), ai gaudi del regno. Noi
poi, giunti all'Undicesima ora, dopo il lavoro, non mormoriamo, e
riceviamo il danaro perchè, dopo la venuta del Mediatore in questo
mondo, siamo condotti al regno appena usciti dal corpo, e riceviamo
senza alcun indugio ciò che gli antichi padri meritarono solo dopo la
lunga attesa. Per questo il padre di famiglia dice: "io voglio dare
anche a quest'ultimo quanto a te." (v.14), e siccome il conseguimento
del regno dipende dalla sua buona volontà, rettamente aggiunge: " Non
posso fare delle mie cose quello che voglio? "(v.15). Stolta è la
questione che l'uomo solleva contro la benignità di Dio! Non dovrebbe
ricercarsi il motivo per cui Dio non dà ciò che non si è obbligati a
dare, ma piuttosto (se ciò potesse avvenire) perchè non dà ciò che si è
obbligato a dare! A ragione quindi soggiunge: "Oppure tu sei invidioso
perché io sono buono? "(v.15). Nessuno poi si glorii del bene fatto,
nè del tempo trascorso bene, perchè la Verità, subito dopo la sentenza
riportata, soggiunge: "Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi
"(v.16). Ecco che seppur sapessimo quali e quante opere buone abbiamo
fatto, ignoreremmo però sempre con quale sottigliezza il supremo Giudice
le esaminerà; perciò ciascuno deve rallegrarsi grandemente di trovarsi,
sia pure ultimo, nel regno di Dio.
5. - Ma più terribile ancora è
la sentenza che segue poco più avanti:“Poiché molti sono chiamati, ma
pochi eletti” (Mt. 22, 14). Molti sono quelli che vengono a
conoscenza della fede, ma pochi quelli che giungono al regno dei cieli! Guaradete
come siamo intervenuti numerosi all'odierna festa: riempiamo tutta la
Chiesa; però, fratelli miei, chi può sapere quanto pochi sono quelli che
fanno parte della schiera degli eletti di Dio? Ecco che la voce di
tutti invoca Cristo, ma non lo invoca ugualmente la condotta di tutti! I
più seguono Dio con le parole, ma se ne allontanano coi cattivi
costumi. Per questo Paolo dice: "Professano di conoscere Dio, ma lo
rinnegano coi fatti" (Tito 1,16 Confitentur se nosse Deum, factis autem
negant). Per questo Giacomo dice: "La fede senza le opere è morta"
(Gc.2,26 Fides sine operibus mortus est). Per questo ancora, il
Signore dice per bocca del Salmista: " Annunziai e parlai, e si
moltiplicarono oltre ogni dire" (Salmo 39,6 Annuntiavi et locutus sum,
moltiplicasti sunt super numerum). Alla voce di Dio che li chiamava
si moltiplicarono oltre ogni dire i fedeli, perchè spesso vengono alla
fede di quelli che non giungono a far parte del numero degli eletti. Qui
infatti sono mescolati, nella professione di fede, coi fedeli; ma, a
causa della loro cattiva condotta, dei loro pensieri malvagi e di ogni
forma di perversione, non meritano di venire annoverati nell'aldilà ,
coi fedeli , nel premio. Quest'Ovile che è la Santa Chiesa, riceve i
capretti assieme agli agnelli, ma per testimonianza del Vangelo, quando
verrà il Giudice, separerà i buoni dai cattivi, così come il pastore
separa le pecore dai capri (cfr Mt.25,32). Fratelli carissimi,
meditiamo seriamente che coloro che di qua, in questa vita, servono alle
voluttà della carne, inseguendo i propri piaceri, non potranno poi
essere, di là, annoverati fra le pecore del gregge. Di là il Giudice
buono e giusto separerà dalla sorte degli umili quelli che si levano
sulle altezze della superbia. Non possono ricevere il regno dei cieli
coloro che,pur essendo quaggiù chiamati alla fede celeste, cercano
invece, con tutta la brama, la terra con le sue dottrine.
6. -
Voi, o fratelli carissimi, scorgete molti di questi tali proprio nella
Chiesa; non dovete però imitarli, così come non dovete disperare della
loro conversione. Noi pur vedendo bene quello che è uno oggi,
ignoriamo quello che potrà essere domani. Spesso colui che sembra venire
dopo di noi nella vita del bene, nel ragionamento del Signore può
passarci avanti, ed a stento domani potremmo noi riuscirgli a tener
dietro a colui che oggi ci sembra di precedere. Per questo Paolo ci
ricorda: "Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché
venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e
manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da
Dio" (1Cor.4,5 Itaque nolite ante tempus quidquam iudicare, quoadusque
veniat Dominus, qui et illuminabit abscondita tenebrarum et manifestabit
consilia cordium; et tunc laus erit unicuique a Deo.). Per questo il
Signore ci ammonisce di non voler giudicare gli altri: "Non giudicate e
non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate
e vi sarà perdonato;" (Lc.6,37 Et nolite iudicare et non iudicabimini;
et nolite condemnare et non condemnabimini. Dimittite et dimittemini;), e
soggiunge come monito: "perché con la misura con cui misurate, sarà
misurato a voi in cambio "(v.38 date, et dabitur vobis: mensuram bonam,
confertam, coagitatam, supereffluentem dabunt in sinum vestrum; eadem
quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis). E' certo che
quando Stefano morì per la fede, Saulo custodiva i mantelli dei
lapidatori. Egli dunque lapidò tante volte quante erano le mani dei
lapidatori, che aveva rese più libere per lapidare, e tuttavia, nella
santa Chiesa, superò nelle fatiche colui che, perseguitando, aveva reso
martire. A due cose dobbiamo sollecitamente pensare, fratelli
carissimi. Prima: siccome molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti,
nessuno presuma mai minimamente di sè, perchè, ancorchè uno sia già
stato chiamato alla fede, non sa se sarà degno del regno eterno. Seconda:
nessuno, al tempo istesso, ardisca disperare per sè stesso e ancor più
per il prossimo che forse vedete giacere nei vizi, perchè forse ignorano
le ricchezze della misericordia divina.
7. - Infine, vi
riferisco, o fratelli, un fatto accaduto di recente degno di essere
ascoltato e degno di fede, affinchè se voi vi riconoscete interiormente
peccatori, possiate più largamente amare la misericordia di Dio
Onnipotente e maggiormente lucrare le sue grazie. Quest'anno, nel mio
monastero, che sorge presso la Chiesa dei santi Martiri Giovanni e
Paolo, si fece monaco un certo fratello. Era stato ricevuto devotamente,
ma egli più devotamente ancora condusse vita monacale (cfr Lib. 4,
cap.38 Dialogorum). Il fratello di costui l'aveva seguito al
monastero, ma non col cuore, piuttosto col corpo. Infatti detestava
quella santa vita e l'abito stesso del monaco, ed abitava nel monastero
come un ospite. Pur rifuggendo, nei costumi, dal viveve come i monaci,
non poteva abbandonare quella ospitalità perchè non sapeva dove andare, e
non aveva i mezzi nè un impiego per campare. La sua condotta cattiva
riusciva a tutti di peso, ma i buoni monaci cercavano di sollecitare la
virtù della pazienza, tollerandolo, ed anche per riguardo del fratello
che molto pativa per quella situazione. Era superbo e lussurioso al
punto da ignorare se dopo questa vita ve ne fosse un'altra, e chiunque
avesse voluto istruirlo su ciò, veniva da lui deriso. Nel monastero
vestiva da secolare; era sciocco nel parlare, sgarbato nei movimenti,
gonfio nella mente, scomposto nel vestire, dissipato nell'agire; un
serio problema per tutti, perchè tutti, invece di giudicarlo, cercavano
di riappacificarlo con se stesso e con Dio. Nel mese di luglio
poc'anzi trascorso, fu colpito dalla pestilenza che anche voi, ahimè ben
conoscete, e fu che giunto agli estremi, cominciò ad essere incalzato
dall'agonia. La parte inferiore del corpo era già come morta, e la
virtù vitale gli era rimasta soltanto nel petto e nella lingua. I
fratelli tutti andavano a trovarlo, e cercavano di lenire i suoi dolori e
di ben prepararlo all'infausto passaggio della morte, intercedendo, per
quanto più potevano, presso Dio, affinchè lo potesse in qualche modo
graziare. Ma colui, ebbe nell'immediato che i fratelli pregavano, un
enorme dragone che veniva per divorarlo, e cominciò a gridare: "Ecco, io
sono stato dato in pasto ad un dragone, ma non mi può divorare perchè
ci siete voi qui con me. Perchè dunque restate qui? Andatevene, affinchè
egli mi possa divorare!" Siccome i fratelli lo ammonivano di farsi
il segno della Croce, egli rispondeva, per come poteva, dicendo: " Io mi
voglio segnare, ma non posso, perchè sono premuto dal dragone che vuole
impedirmelo. La schiuma della sua bocca mi bagna la faccia, la mia gola
è stretta dalla sua bocca, le mia braccia sono da lui immobilizzate, e
già il mio capo è tra le sue fauci..." Mentre pallido e moribondo
diceva talicose, i fratelli cominciarono ancor più tenacemente ad
insistere nella preghiera, e ad aiutare il poveretto affinchè potesse
liberamente segnarsi con il segno della Croce. Quelle preghiere
ininterrotte ed insistenti, raggiunsero la misericordia di Dio,
improvvisamente, subito all'istante, in un attimo il moribondo fu
liberato, e come si ebbe fatto il segno della Croce potè gridare con una
voce sana: "Siano rese grazie a Dio; ecco che il dragone è andato via, e
andato via colui che mi voleva divorare, è fuggito davanti alle vostre
preghiere". E immediatamente riconciliatosi con Dio, fece solenne
voto di dedicarsi a Dio e di farsi vero monaco. Da allora vive in uno
stato di malattia redentrice, è oppresso dalle febbri e affranto dai
dolori, il suo copro è dalla vita in giù immobilizzato, strappato alla
morte, vive ora in profonda penitenza per restituire il maltorto;
avviene ora infatti, per disposizione divina, che lunghi vizi siano
bruciati da infermità anche lunghe, ma proprio qui in questo stato,
quest'anima ha ritrovato la sua pace ed è degno ora di essere annoverato
nel regno dei cieli.
Vedete fratelli, chi mai avrebbe previsto
che colui veniva ora conservato in vita perchè si convertisse? Chi
mai potrebbe misurare quanto infinita sia la misericordia di Dio? Ecco
come questo giovane perverso e cattivo, in punto di morte, all'ultima
ora, ha potuto vedere il dragone che aveva servito durante la vita;
grazie alla preghiera dei fratelli che hanno sollecitato la misericordia
di Dio, anzichè la condanna del poveretto, ha visto il dragone non per
perdere la vita, ma perchè potesse comprendere chi aveva servito ed ora,
sapendolo, gli opponesse la giusta resistenza e, resistendogli, lo
vincesse. Egli vide quello dal quale era stato, invisibilmente
posseduto, affinchè non rimanesse più sotto il suo dominio. Quale
lingua dunque può narrare le viscere della misericordia divina? Quale
spirito non si meraviglierà dinnanzi alle ricchezze della divina pietà? Queste
ricchezze della divina pietà erano state considerate dal Salmista,
quando diceva: "O mia forza, a te voglio cantare, poiché tu sei, o
Dio, la mia difesa, tu, o mio Dio, sei la mia misericordia." (Salmo
58,18 Fortitudo mea, tibi psallam, quia, Deus, praesidium meum es:
Deus meus misericordia mea.). Considerando poi che Dio conosce, sà e
vede i nostri mali, e tanto li sopporta e tollera le nostre colpe, ci
riserva tuttavia il premio, attraverso la penitenza, la sofferenza,
infatti il Salmista non volle chiamare Dio semplicemente
"misericordioso", ma invocò la misericordia stessa: Deus meus
misericordia mea!
Fratelli miei, richiamiamo ai nostri occhi il
male che abbiamo commesso; pensiamo con quanta benignità Iddio ci
sopporta; considieriamo quali siano le viscere di pietà, chè non solo ci
perdona le colpe, ma ci promette il regno celeste anche dopo le colpe,
purchè facciamo penitenza, purchè cerchiamo davvero il Suo perdono. Diciamo
con tutte le fibre del nostro cuore, diciamo ciascheduno per conto
proprio, e diciamolo anche assieme: tu, o mio Dio, sei la mia
misericordia, Tu che vivi e regni Trino nell'unità, e uno nella Trinità
Santissima, per gli infiniti secoli dei secoli. Così sia!
L'ARTE CATTOLICA
DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO
Il santo Padre Benedetto XVI da maggio 2008 in occasione della
Festa del Corpus Domini, ha deciso, nelle Messe da lui celebrate, che i fedeli
ricevano la Comunione dalla sue mani in bocca e in ginocchio, su inginocchiatoi
messi a tal fine davanti all’altare. Nello stesso tempo aveva già riportato il
Crocefisso sull'Altare raccomandando, con
mitezza e con responsabilizzazione, che tutte le Chiese (ossia anche le
Parrocchie) si adoperassero per una corretta interpretazione della Riforma
liturgica del Concilio Vaticano II, la quale non ha mai fatto propria Norma quelle
alcune modifiche nella Messa che, invece, presero il sopravvento producendo
abusi e dissacralità nella Messa stessa.
Approfondiamo,
almeno un poco, la disciplina della Chiesa su questo tema!
Il Cardinale
Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza
nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista “30 Giorni”:
“Come è noto, l’attuale disciplina universale
della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca
dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di
distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo.
Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo
accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione
dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed
edificante del Vescovo di Roma.”
Di
conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e
Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si
ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la
Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono
tuttora, di esempio per tutto l’orbe cattolico”.
Non è un
segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio.
Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra
Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno
particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione
della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le
specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente
meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo
nell’Eucaristia.
Vale la pena
penetrare maggiormente il suo pensiero, attraverso le pagine della sua opera “Lo spirito della Liturgia”,
pubblicata quando era ancora Cardinale. Nel capitolo dedicato al tema della
prostrazione, dice: “L’espressione con cui Luca descrive l’atto
di inginocchiarsi dei cristiani è
sconosciuta nel greco classico. Si tratta di una parola specificamente
cristiana. Può essere che la cultura moderna non capisca il gesto di
inginocchiarsi, nella misura in cui è una cultura che si è allontanata dalla
fede e non conosce ormai Colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto
appropriato, anzi, interiormente necessario. Chi impara a credere, impara anche
ad inginocchiarsi. Una fede o una liturgia che non conoscesse l’atto di
inginocchiarsi sarebbe ammalata nel punto centrale. Là dove questo gesto sia andato perduto, bisogna impararlo di nuovo,
per rimanere con la nostra preghiera in comunione con gli apostoli e i martiri,
in comunione con tutto il cosmo e in unità con Gesù Cristo stesso”.
Conoscere,
credere, rimanere nella fede, queste sono le condizioni di base da cui nasce il
“bisogno interiore” di inginocchiarsi.
Dove la pratica di inginocchiarsi si è persa, “bisogna impararla di nuovo”,
diceva l’allora Cardinale Ratzinger.
E di nuovo, nella sua prima Esortazione Apostolica, Sacramentum
Caritatis (2007), il Santo Padre riafferma: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha
sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio
presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche
manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico
deve introdurre i fedeli. Penso, in
senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi
durante i momenti salienti della preghiera eucaristica”.
Monsignor
Guido Marini, Maestro
delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riassume quest’insegnamento papale
dicendo che, ricevendo la Comunione in
ginocchio e in bocca, si sottolinea “la
verità della presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei
fedeli e introduce più facilmente il senso di mistero”.
Inoltre egli faceva presente in una intervista a Radio Vaticana, nell'aprile
2011: "Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua
parola e con il suo esempio, è
l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo
armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. Il Santo
Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento
e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione.
Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo
e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti. Il Papa ha applicato e sta applicando alla lettera come deve essere
celebrata la Messa voluta dalla Riforma del Concilio...", i sacerdoti
e i Vescovi, pertanto, dovrebbero così obbedire al Papa nel fare proprie le sue
istanze liturgiche. E lo stesso Pontefice, spiegava mons. Guido Marini, è
ritornato spesso sul concetto che Roma rimane "il modello verso il quale
tutte le altre chiese devono guardare".
Insomma, è il Papa a chiedere che si celebri la Liturgia con quella
sacralità venuta meno nelle celebrazioni parrocchiali, ci vuole una buona dose
di mala fede per dire "io non lo sapevo!"....
Ci piace
sottolineare che grazie anche al Motu Proprio Summorum Pontificum,
assistiamo di recente ad una responsabilizzazione da parte di molti Vescovi
della Chiesa, verso questa santa disciplina. Sarebbe infatti fuorviante
relegare questo prezioso MP esclusivamente al ritorno della Messa nella forma
Straordinaria, poichè è il Papa stesso a richiedere attraverso questo
Documento, una riforma della Messa nella forma Ordinaria, purificandola dai
tanti abusi di questi anni e dove la Messa nella forma Straordinaria, invece,
resta un 'ottimo esempio ed una grande testimonianza della sacralità liturgica che
dobbiamo riportare allo scoperto.
Vorremmo
menzionare soprattutto il Vescovo Athanasius
Schenider il quale ha scritto anche un prezioso libretto "Dominus Est" edito dalla Libreria Vaticana, sul come ricevere la Sacra
Comunione e il perchè dell'inginocchiarsi davanti al Mistero.
L'arte
dell'inginocchiarsi è, per noi cattolici, un segno caratteristico e
identificativo non semplicemente di una forma di cultura, ma molto più, di
quella identità che ci vede consapevoli del Mistero di Gesù-Ostia-Santa che
abbiamo davanti a noi e davanti al quale, appunto, ci inginocchiamo.
Taluni hanno
frettolosamente ingannato se stessi e molti fedeli ricorrendo ad immagini della
Chiesa primitiva secondo le quali, e secondo la loro interpretazione, i
cristiani non si inginocchiavano davanti al Risorto, ma si prostravano!
A rigor del
vero occorre dire che questa motivazione è sbagliata ed è malamente
interpretata. Nessuno di fatto sa con certezza quale atteggiamento assunsero i
Discepoli davanti al Cristo Risorto, parlando di prostrazione va detto che essa
veniva fatta generalmente proprio da una posizione che partiva dallo stare in
ginocchio e, seduti sui talloni, ci si prostrava con la fronte fino a toccare
terra.
Bisogna
sottolineare che in discussione non viene messo lo stare in piedi, per esempio,
nelle invocazioni, nell'ascoltare la Parola di Dio, o nel seguire i canti,
quanto piuttosto assistiamo da tempo ad una battaglia contro la forma
dell'inginocchiarsi.
Del resto, per noi
Cattolici, vale per tutto il suggerimento della Sacra Scrittura che lo stesso
sante Padre Domenico insegnava ai suoi Frati:
Venite,
prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo
94,6).
Sant'Agostino, con una immagine
efficace, ci spiega la nostra situazione.
E' vero,
spiega il santo Padre della Chiesa, che la nostra fede cristiana è racchiusa
nella gioia della Risurrezione, la Pasqua rende incontenibile la nostra gioia
con inni, salmi, canti di lode e giubilo, ma
la nostra vita sulla terra è una Quaresima!
Il santo
Padre Agostino, in alcune sue catechesi, rimarca l'atteggiamento che dobbiamo
assumere, ci ricorda che la Pasqua per
noi è prefigurazione della gloria che vivremo mentre, la realtà che viviamo
sulla terra è la Quaresima, per questo la Chiesa insegna il digiuno, la
penitenza, la prostrazione, quello stare in ginocchio mentre mendichiamo
davanti a Dio le nostre suppliche. Sant'Agostino cita, come esempio i passi dei
Vangeli in cui è insegnato quale atteggiamento dobbiamo assumere quando
Preghiamo, quando siamo davanti al Signore:
- Matteo
17,15 che, gettatosi in ginocchio,
gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre
molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
- Marco 1,40
Allora venne a lui un lebbroso: lo
supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco
10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui,
gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8
Al veder questo, Simon Pietro si gettò
alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un
peccatore».
In un
articolo comparso sull'Osservatore Romano 4 agosto 2008, così spiegava mons.
Nicola Bux: Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non
deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'Eucaristia.
L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce: "Anche il presbitero...quando celebra
l'eucaristia, deve servire Dio e il
popolo con dignità e umiltà, e, nel modo
di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo". Il prete non escogita nulla, ma col suo
servizio deve rendere al meglio agli
occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli,
il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero
tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come
possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il
precursore: "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se
vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa
consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto: l'effetto dipende dalla nostra fede e dal
nostro amore.
"è necessario che egli cresca e io
diminuisca", per fare questo è indispensabile che ci si attivi non
solo spiritualmente, ma anche esternamente con atteggiamenti atti a far capire
come funziona questo meccanismo:
-
inginocchiandomi davanti all'Altissimo, Egli cresce di importanza davanti a me,
io mi faccio piccolo ed umile (inginocchiandomi) davanti a Lui.
L'atteggiamento che assumiamo
davanti agli altri, poichè siamo umani e sensibili ai gesti, ai segni, è
pertanto indispensabile per dare una vera, o presunta, o perfino una falsa
immagine del Mistero che celebriamo!
Nella
Lettera alla Congregazione per il Culto
Divino, del 21.9.2009, il futuro beato, Giovanni Paolo II, così scriveva e
ammoniva: "Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un
comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare
le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano,
detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime
preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e
di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di
qualsiasi Liturgia".
" anche senza tante parole e spiegazioni
".... Spesso è l'atteggiamento che
assumiamo ad essere per noi la testimonianza più concreta di quello in cui
crediamo.
Se vogliamo
essere credibili, dobbiamo assumere anche un atteggiamento di credibilità: se diciamo che Dio è Vivo è vero
nell'Eucarestia, allora non possiamo restare in piedi, o peggio seduti ( a meno
che non vi sia qualche grave impedimento fisico) è la stessa virtù dell'umiltà
sincera che ci fa piegare le ginocchia davanti al Sommo Re per poter supplicare
ieri come oggi:
- Matteo
17,15 che, gettatosi in ginocchio,
gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio......;
- Marco 1,40
Allora venne a lui un lebbroso: lo
supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco
10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui,
gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8
Al veder questo, Simon Pietro si gettò
alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un
peccatore»...
Sia lodato
Gesù Cristo!
LDCaterina63
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