L’imposizione delle mani su pane e vino: l'adorazione, l'Eucaristia e la Santa Messa
Soffermiamoci sul gesto, spesso marcato dal suono del campanello,
dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino, gesto che precede la
proclamazione delle parole di consacrazione: "Questo è il mio corpo…
Questo è il calice del mio sangue". E i fedeli si comunicheranno con il
Corpo e Sangue di Cristo, non certo con il corpo e sangue del
celebrante, né con una pagnotta e della bibita....
Nel
momento centrale dell'azione Eucaristica le mani del sacerdote eseguono
le parole che escono dalla sua bocca: l'invocazione dello Spirito Santo
sulle offerte è significata e agisce (compie l'atto da àgere-fare)
dalle sue mani distese sopra di esse, attualizzando quel meraviglioso
prodigio che è la transustanziazione ossia, mentre le apparenze del pane
e del vino restano veramente pane e vino, la loro sostanza diventa il
prodigio, il Dio vivo e vero, nascosto, ma realmente presente.
Noi infatti non adoriamo le apparenze del pane e del vino, non adoriamo ciò che vediamo, ma ciò che le apparenze, da quel momento, contengono.
Il sacerdote prenderà poi solennemente in mano il pane e il calice, in
sincronia perfetta con il racconto dell'ultima cena, ripetendo così lo
stesso gesto del Signore: l'esercizio del sacerdozio ministeriale per il
quale Cristo, unico e sommo Sacerdote, si dona ai discepoli radunati
nel suo nome, raggiunge l'apice nell'offrire a Dio Padre e all'assemblea
dei santificati il Corpo spezzato e il Sangue versato.
Ci troviamo così di fronte ad un momento d’intensa realtà vissuta dal Cristo sul Calvario.
Non è simbolismo, che coniuga in drammatica tensione la parola, che
consacra, e il gesto, che sigilla, affinché il dono della salvezza sia
gesto divino d'amore irreversibile, ma riviviamo realmente i fatti
accaduti sul Golgota. Per questo la santa Messa non è il racconto di un
fatto avvenuto duemila orsono, ma è il rivivere, in modo incruento, quei
fatti che l'azione stessa della Santissima Trinità rende, sull'Altare,
realmente vivi e sostanziali. In quel momento accanto all'Altare (già
simbolo della pietra sulla quale Abramo stava per immolare Isacco,
figlio unico, prefigurazione del Golgota sul quale verrà immolato il
Figlio unico di Dio per portare a compimento tutto il progetto di Dio),
c'è la Vergine Maria come stava ai piedi della Croce, e sopra l'Altare
non pochi Santi hanno descritto di aver visto, durante la Consacrazione,
aprirsi le porte dei Cieli e vedere i Cori degli Angeli unirsi ai
nostri canti solenni; hanno visto la schiera dei Santi che in ginocchio
si univano alla Santa Messa con noi, ripetendo in Cielo la Divina
Liturgia.
Per
questo quando il sacerdote proclama l'inno del tre volte Santo,
descrive la presenza degli Angeli. E' importante che almeno nel momento
della Consacrazione, nel momento in cui il sacerdote impone le mani, le
nostre ginocchia si piegano davanti al Re dei re che si rende vivo e
vero, realmente presente nelle apparenze del pane e del vino da quel
trono che è la Croce. Da questo momento il nostro Signore e nostro Dio è
realmente presente sull'Altare e purtroppo molti fedeli, compresi i
sacerdoti, spesse volte continuano la Messa come se quel momento fosse
solo un ricordo del passato, una memoria simbolica e non usano
atteggiamenti di profonda adorazione dopo la Consacrazione avvenuta. E'
invece fondamentale assumere un atteggiamento diverso, più consono alla
Divina Presenza. Molti sacerdoti non si inginocchiano più durante la
Messa e la Consacrazione e così molti fedeli li hanno imitati rendendosi
complici di questa disaffezione che si manifesta anche negli
atteggiamenti esteriori.
Inoltre
come per la Consacrazione è necessaria l'azione esteriore
dell'imposizione delle mani consacrate del sacerdote, così anche per il
resto della Messa è necessaria la nostra disposizione esteriore,
affinché assuma quegli atteggiamenti che ci aiutino, l'un con l'altro, a
comprendere e accogliere la Presenza Divina sull'Altare.
Cosa intendiamo per: simbolica azione della mano
Già
di per se stessa, la mano dell'uomo è carica di significato ed è
simbolo di potere e strumento di linguaggio in tutte le culture, al
punto che le stesse lettere dell'alfabeto provengono da gesti ancestrali
espressi dalla mano: la scrittura è proprietà intrinseca della mano.
Ora, per non caricare di troppe sottigliezze la presente riflessione, ci
limitiamo a sottolineare la sua simbologia attraverso tre significati
fondamentali:
1. la potestà,
2. la differenza e
3. l'abbandono.
1. In tutte le tradizioni religiose la mano esercita una funzione
insostituibile e fortemente espressiva: i testi, l'iconografia e i riti
fanno della mano una specie d'intermediario tra l'uomo e Dio. Nella
Bibbia la mano e il braccio di Dio esprimono la sua potenza creatrice e
la sua trascendenza: “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei
miei piedi; - queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie" (Is 66,
1-2). Perciò la creazione è la prima manifestazione (da mani-festare =
eseguire con le mani) della grandezza di Dio, la sua prima scrittura; e
dalle sue mani s’irradiano la luce e la vita sugli uomini. Così
nelle cerimonie religiose le mani assumono la funzione di uno strumento,
per il quale Dio trasmette un potere e una salvezza che soltanto Lui
possiede e può donare e, nel nostro caso, è quel potere che ha
trasmesso, consegnato ai suoi Ministri consacrati. Qui sta il
significato profondo dell'imposizione delle mani nei gesti di
benedizione; e su questo percorso si determina pure il significato
dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino nel rito della santa
Eucaristia. Anche per questo la Chiesa ha acquisito l'importanza
del gesto che sia il Sacerdote a dare la Comunione al fedele e non il
fedele a prenderla da sé. Tale potestà è stata consegnata al sacerdote, non ai fedeli.
2. Nella simbologia culturale dei popoli, la mano può essere destra o
sinistra e può esibire la parte palmare o dorsale; di qui la simbolica
della differenza: tra bene e male, tra prendere (tenere) e ricevere
(contenere). La destra benedice, la sinistra maledice; la destra è
misericordia, la sinistra giustizia; "il cuore del saggio va a destra,
il cuore dello stolto va a sinistra" (Qo 10, 2). Le mani, in forma di
reliquiario, e i talismani, in forma di mano, mettono in evidenza
l'aspetto positivo della destra e il suo potere di difenderci dal male:
soltanto la destra protegge e libera dalla cattiva sorte. Infine si deve
notare che la parte dorsale rende la mano organo della presa e perciò
esprime la nostra capacità di com-prendere (di sciogliere gli enigmi),
mentre la parte palmare ci rende capaci di toccare lasciandoci toccare,
di accarezzare e di costruire relazioni affettive o di amicizia.
3. La mano nella mano significa la condivisione e l'unione di vita tra i
due che si tengono per mano nel calore palmare della presa; nelle
cerimonie, come nel rito di vassallaggio, le mani nelle mani significano
sottomissione, abbandono, consegna della propria libertà a colui che
prende le mani delle sue mani; e questo provoca sottomissione e
protezione: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; il tormento non
le toccherà" (Sap 3, 1).
Nelle mani del Padre
Il
significato spirituale, che suggerisce come partecipare attivamente al
sacrificio di Cristo, proprio nel momento in cui egli si fa nostro "pane
vivo", emerge dalle parole con cui egli prese congedo da noi sulla
croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito"
(Lc 23,46). Infatti l'Eucaristia attua anche per noi il momento in cui
consegnare il nostro spirito, la nostra libertà e volontà, al Signore,
per restare veramente liberi: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo
liberi" (Gal 5,1), capaci di amare e di crescere nell'amore. Anche su
Gesù, nel battesimo al Giordano, scese lo Spirito Santo, tanto che poté
applicare a sé, nella sinagoga di Nazaret, le parole del profeta: "Lo
Spirito del Signore Dio è su di me" (Is 61,1; Lc 4,18); e questo vale
anche per noi, in quanto il dono di salvezza è sempre disponibile,
proprio perché lo Spirito del Figlio di Dio, per la croce, è ora
comunicabile ed è sempre su di noi.
Ora, perché la celebrazione eucaristica diventi efficace e ci faccia inoltrare nella via della salvezza, sono necessarie alcune operazioni interiori,
con le quali possiamo accompagnare (partecipazione attiva) il rito
della Consacrazione, dall'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte
(prima epiclesi) fino all'identica invocazione sull'assemblea (seconda
epiclesi); ne indichiamo tre:
1. metterci nelle mani del Signore come fece Gesù dalla Croce, significa anche inginocchiarsi davanti a Lui;
2. intenerire il cuore per fare spazio alla Sua Divina Presenza e
3. invocare forza dall'Alto, lo Spirito di Verità affinché la grazia si renda attiva in noi.
1. Consegnarci a Cristo nella verità di noi stessi, col nostro positivo
e negativo, per essere pure noi "un solo corpo e un solo spirito"
(preghiera eucaristica terza), significa accettare senza condizioni o riserve
il suo dono: impossibile donarsi a Dio senza accogliere il suo dono. Il
dono della salvezza è per tutti, poiché Dio vuole che tutti siano
salvi; però la salvezza raggiunge soltanto coloro che l'accettano, che
l'accolgano (o almeno non la rifiutano, per questo Benedetto XVI ha
scritto una Lettera per chiarire il termine del Pro multis nelle parole
della Consacrazione, quale interpretazione più fedele alle parole di
Cristo); e più lasciamo entrare la salvezza nella nostra vita, più
partecipiamo alla gioia del nostro Signore.
Perciò,
mentre il sacerdote stende le sue mani sulle offerte, ci uniamo a lui
per rinnovare la nostra adesione a Cristo e invocando su di noi lo
Spirito Santo (Terza Persona della Santissima Trinità e non una specie
di energia o spirito fluttuante...) che consacrerà il pane e il vino, siamo fatti partecipi (non dei concelebranti) della Divina Eucaristia; e saremo veri discepoli del Signore.
A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:
“ La
vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura
stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo
inaudito.(…) È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù".
Le Norme insegnano: I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove
esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino
alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra
Comunione, all’Ecce Agnus Dei, si conservi lodevolmente tale uso... (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43).
La
Chiesa, dunque, loda l'uso dell'inginocchiarsi, per chi può, perché
questo atteggiamento favorisce una miglior disposizione per
interiorizzare il momento sacro che stiamo vivendo e dona agli altri una
concreta testimonianza in ciò in cui crediamo.
Mons.
Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del santo Padre,
alla domanda: quali sono le particolarità delle liturgie pontificie?
Risponde:
"Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza
del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le
caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità.
Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa
sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il
Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che,
anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero
liturgico a cui tutti devono rivolgersi" (intervista dicembre 2010).
Il
Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con
grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista
pubblicata anche sull'Osservatore Romano:
“Come
è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di
norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli.
C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di
distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene
ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta
reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i
fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in
ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo
di Roma.”
Di
conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di
Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di
Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano
“comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione
in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe e l'urbe cattolico”.
Non
è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in
ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la
Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un
segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in
ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù
Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il
Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica
nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la conseguenza anche
della grave crisi di fede che la Chiesa e il mondo stanno vivendo.
2.
Intenerire il cuore significa purificare le nostre mani (intese quali
azioni e opere) e renderle meno indegne di ricevere il Corpo del
Signore; e questo avviene accogliendo una nuova capacità di amare, di
relazionarci con gli altri rispettando, a cominciare proprio dalla
nostra relazione con Dio, non solo i Comandamenti ma anche amando la
Chiesa che per mezzo di Pietro e dei suoi Successori, ci comunica la
comprensione e l'interpretazione corretta di questi Comandamenti e di
tutta la Scrittura. Se la Messa è il Culto per eccellenza attraverso il
quale Dio si relaziona con noi, a nostra volta siamo chiamati a
relazionarci con gli altri, a portare questa relazione agli altri. Un
amore davvero nuovo: "siate misericordiosi com'è misericordioso il Padre
vostro celeste" (Lc 6,36).
Benedetto
XVI nell'aprile 2009 quando parla alla Pontificia Commissione Biblica,
spiega: "..occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione
vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto di Origene, "Sacra
Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus
instrumentis scripta" ossia "la Sacra Scrittura è scritta nel cuore
della Chiesa prima che su strumenti materiali". Infatti la
Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed
è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di essa secondo il
senso spirituale... Essere fedeli alla Chiesa
significa, infatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione
che, sotto la guida del Magistero (...) tutto quello che concerne il
modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al
giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di
conservare e interpretare la Parola di Dio".
Per
questo è fondamentale che ci accostiamo all'Eucaristia dopo aver
accolto il Perdono di Dio mediante il Sacramento della Confessione o
Riconciliazione. Senza questo Sacramento si rischia di "mangiare la
propria condanna", si rischia di rendere in noi inattiva la grazia, si
rischia di accostarsi al Calvario in grave stato di peccato mortale
senza la volontà di cancellarlo, di condannarlo. Inoltre il perdono
ricevuto non solo ci rende aperti e pronti a ricevere la grazia e a
renderla efficace, ma produce frutti di santificazione e rende salde in
Cristo le nostre relazioni con gli altri, benedicendole e rendendole
fruttuose. Così spiegava Benedetto XVI ai teologi nel dicembre 2010:
"C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe
annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata,
quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni
umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia".
3. Prima di salire al cielo, Gesù rivolse agli apostoli questa promessa
che è anche per noi: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su
di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At
1,8). In ogni celebrazione eucaristica ci è data la possibilità di avere
questa forza dall'Alto, che rende possibile l'impossibile, poiché la
Chiesa del Signore non è un'azienda e non nasce né cresce con le sole
forze umane: "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è
giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). È la Presenza
di questa Divina realtà Eucaristica che, come il sale negli alimenti, dà
sapore alla nostra fede liberandoci da quella tiepidezza che rende
nauseante la testimonianza: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo
né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei
cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap
3,15-16). È l'azione dello Spirito Santo che rende attraente la salvezza
che Cristo ci offre, portando alla pienezza la vita umana, in tutti i
suoi aspetti, corroborandoci nelle gioie e consolandoci veramente nel
dolore, nella fatica degli impegni assunti, nelle tribolazioni.
Nell'Omelia del 3 settembre 2012 alla chiusura del seminario con i suoi ex allievi, così si è espresso Benedetto XVI:
"
Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in
questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se
stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non
crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità,
che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la
giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi
stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella
libertà e nella novità della vita.
Se leggiamo
oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo
di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci
è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può
avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di
intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non
osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra
essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
Nessuno
può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e,
giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è
qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo
afferrati da lei...."
L'Eucaristia è la verità;
è parola fedele ma anche nutrimento, è oggetto di culto, Soggetto della
nostra adorazione, ma anche il Soggetto che dobbiamo portare agli
altri, che dobbiamo a nostra volta comunicare agli altri. L'Eucaristia
che adoriamo e viviamo nella Messa non è un simbolo, non è il ricordo
dell'Ultima Cena, non è una sorgente energetica, ma è la Presenza reale
del Dio Vivo e vero in mezzo a noi che ha detto: Et ecce ego vobiscum
sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi / Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt.18-20).
Non
siamo noi a "possedere" l'Eucaristia, ma è l'Eucaristia che "ci
afferra" e vuole essere portata, comunicata al mondo, per questo Gesù
cerca "discepoli". Cerca Discepoli non per avanzare le proprie teorie e
costruirne di nuove, ma per essere accolto e portato così come lo
abbiamo ricevuto.
Abbiamo così una possibilità unica nel
cuore dell'Eucaristia: lasciarci consacrare come pane, che ci corrobora
nella debolezza, e come vino, che tonifica le tappe della vita con
quella "sobria ebbrezza dello Spirito" che dona e custodisce la pace
profonda del cuore, segno inconfondibile della presenza del Signore in
mezzo a noi, di questo dobbiamo essere testimoni e discepoli. Nella
partecipazione all'Eucaristia, cerchiamo di non lasciarci sfuggire quei
pochi minuti della Consacrazione: l'imposizione delle mani sulle
offerte e il tocco del campanello ci ricordano che il momento è solenne,
ci ricorda che siamo invitati a piegare le nostre ginocchia davanti al
Mistero, ci ricorda che se siamo lì davanti non è un merito nostro ma
che in qualche modo siamo stati "chiamati" per rendere questa
testimonianza alla Verità. E' importante che in quei momenti facciamo
silenzio per interiorizzare questa Presenza, dobbiamo fare attenzione a
non banalizzarlo con parole vane e canti inadatti ricordandoci che la
fede che stiamo vivendo non crea il Mistero ma lo riceve, lo accoglie,
lo accetta. Ora che abbiamo imparato qualcosa di più, cerchiamo di
adeguare la nostra vita a questa Verità per esporci al Sole di giustizia
che sta per divampare dall'Altare e che cerca testimoni, discepoli che
trasmettano i fatti così come ricevuti, insegnati e tramandati
infallibilmente dalla Chiesa.
I Santi insegnano: alcuni esempi
San Tommaso d'Aquino: "La celebrazione della Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce".
San
Francesco d'Assisi: "L'uomo dovrebbe tremare, la terra dovrebbe
vibrare, il cielo intero dovrebbe commuoversi profondamente, quando il
Figlio di Dio si rende presente sugli altari nelle mani del sacerdote".
San Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo di gioia"
San
Pio da Pietralcina: "Quando assisti alla Messa, rinnova la tua fede e
medita circa la Vittima che si immola per te alla Giustizia Divina, per
placarla e renderla propizia. Non te ne andare dall'altare senza versare
lacrime di dolore e di amore per Gesù, crocifisso per la tua salvezza.
La Vergine Addolorata ti accompagnerà e sarà la tua dolce ispirazione"
Santa
Teresa di Gesù: "Senza la Messa, che sarebbe di noi? Tutti qui giù
periremmo, perché solamente la Messa può trattenere il braccio di Dio.
Senza di Essa, certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo sarebbe
perduto senza rimedio."
San
Bernardo: "Si ha maggior merito assistendo ad una santa Messa con
devozione, che distribuendo tutte le proprie sostanze ai poveri o
viaggiando come pellegrini in tutto il mondo".
Beata
Madre Teresa di Calcutta: " Dovunque vado nel mondo intero, la cosa che
mi rende più triste è guardare la gente ricevere la Comunione sulla
mano".
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