venerdì 7 settembre 2012

Santa Messa la Consacrazione

L’imposizione delle mani  su pane e vino: l'adorazione, l'Eucaristia e la Santa Messa

Soffermiamoci  sul gesto, spesso marcato dal suono del campanello, dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino, gesto che precede la proclamazione delle parole di consacrazione: "Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue". E i fedeli si comunicheranno con il Corpo e Sangue di Cristo, non certo con il corpo e sangue del celebrante, né con una pagnotta e della bibita....
Nel momento centrale dell'azione Eucaristica le mani del sacerdote eseguono le parole che escono dalla sua bocca: l'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte è significata e agisce (compie l'atto da àgere-fare) dalle sue mani distese sopra di esse, attualizzando quel meraviglioso prodigio che è la transustanziazione ossia, mentre le apparenze del pane e del vino restano veramente pane e vino, la loro sostanza diventa il prodigio, il Dio vivo e vero, nascosto, ma realmente presente.
Noi infatti non adoriamo le apparenze del pane e del vino, non adoriamo ciò che vediamo, ma ciò che le apparenze, da quel momento, contengono. Il sacerdote prenderà poi solennemente in mano il pane e il calice, in sincronia perfetta con il racconto dell'ultima cena, ripetendo così lo stesso gesto del Signore: l'esercizio del sacerdozio ministeriale per il quale Cristo, unico e sommo Sacerdote, si dona ai discepoli radunati nel suo nome, raggiunge l'apice nell'offrire a Dio Padre e all'assemblea dei santificati il Corpo spezzato e il Sangue versato.

Ci troviamo così di fronte ad un momento d’intensa realtà vissuta dal Cristo sul Calvario. Non è simbolismo, che coniuga in drammatica tensione la parola, che consacra, e il gesto, che sigilla, affinché il dono della salvezza sia gesto divino d'amore irreversibile, ma riviviamo realmente i fatti accaduti sul Golgota. Per questo la santa Messa non è il racconto di un fatto avvenuto duemila orsono, ma è il rivivere, in modo incruento, quei fatti che l'azione stessa della Santissima Trinità rende, sull'Altare, realmente vivi e sostanziali. In quel momento accanto all'Altare (già simbolo della pietra sulla quale Abramo stava per immolare Isacco, figlio unico, prefigurazione del Golgota sul quale verrà immolato il Figlio unico di Dio per portare a compimento tutto il progetto di Dio), c'è la Vergine Maria come stava ai piedi della Croce, e sopra l'Altare non pochi Santi hanno descritto di aver visto, durante la Consacrazione, aprirsi le porte dei Cieli e vedere i Cori degli Angeli unirsi ai nostri canti solenni; hanno visto la schiera dei Santi che in ginocchio si univano alla Santa Messa con noi, ripetendo in Cielo la Divina Liturgia.

Eucaristia

Per questo quando il sacerdote proclama l'inno del tre volte Santo, descrive la presenza degli Angeli. E' importante che almeno nel momento della Consacrazione, nel momento in cui il sacerdote impone le mani, le nostre ginocchia si piegano davanti al Re dei re che si rende vivo e vero, realmente presente nelle apparenze del pane e del vino da quel trono che è la Croce. Da questo momento il nostro Signore e nostro Dio è realmente presente sull'Altare e purtroppo molti fedeli, compresi i sacerdoti, spesse volte  continuano la Messa come se quel momento fosse solo un ricordo del passato, una memoria simbolica e non usano atteggiamenti di profonda adorazione dopo la Consacrazione avvenuta. E' invece fondamentale assumere un atteggiamento diverso, più consono alla Divina Presenza. Molti sacerdoti non si inginocchiano più durante la Messa e la Consacrazione e così molti fedeli li hanno imitati rendendosi complici di questa disaffezione che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori.
Inoltre come per la Consacrazione è necessaria l'azione esteriore dell'imposizione delle mani consacrate del sacerdote, così anche per il resto della Messa è necessaria la nostra disposizione esteriore, affinché assuma quegli atteggiamenti che ci aiutino, l'un con l'altro, a comprendere e accogliere la Presenza Divina sull'Altare.

Cosa intendiamo per: simbolica azione della mano
Già di per se stessa, la mano dell'uomo è carica di significato ed è simbolo di potere e strumento di linguaggio in tutte le culture, al punto che le stesse lettere dell'alfabeto provengono da gesti ancestrali espressi dalla mano: la scrittura è proprietà intrinseca della mano. Ora, per non caricare di troppe sottigliezze la presente riflessione, ci limitiamo a sottolineare la sua simbologia attraverso tre significati fondamentali:
1. la potestà,
2. la differenza e
3. l'abbandono.

1. In tutte le tradizioni religiose la mano esercita una funzione insostituibile e fortemente espressiva: i testi, l'iconografia e i riti fanno della mano una specie d'intermediario tra l'uomo e Dio. Nella Bibbia la mano e il braccio di Dio esprimono la sua potenza creatrice e la sua trascendenza: “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi; - queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie" (Is 66, 1-2). Perciò la creazione è la prima manifestazione (da mani-festare = eseguire con le mani) della grandezza di Dio, la sua prima scrittura; e dalle sue mani s’irradiano la luce e la vita sugli uomini. Così nelle cerimonie religiose le mani assumono la funzione di uno strumento, per il quale Dio trasmette un potere e una salvezza che soltanto Lui possiede e può donare e, nel nostro caso, è quel potere che ha trasmesso, consegnato ai suoi Ministri consacrati. Qui sta il significato profondo dell'imposizione delle mani nei gesti di benedizione; e su questo percorso si determina pure il significato dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino nel rito della santa Eucaristia. Anche per questo la Chiesa ha acquisito l'importanza del gesto che sia il Sacerdote a dare la Comunione al fedele e non il fedele a prenderla da sé. Tale potestà è stata consegnata al sacerdote, non ai fedeli.

2. Nella simbologia culturale dei popoli, la mano può essere destra o sinistra e può esibire la parte palmare o dorsale; di qui la simbolica della differenza: tra bene e male, tra prendere (tenere) e ricevere (contenere). La destra benedice, la sinistra maledice; la destra è misericordia, la sinistra giustizia; "il cuore del saggio va a destra, il cuore dello stolto va a sinistra" (Qo 10, 2). Le mani, in forma di reliquiario, e i talismani, in forma di mano, mettono in evidenza l'aspetto positivo della destra e il suo potere di difenderci dal male: soltanto la destra protegge e libera dalla cattiva sorte. Infine si deve notare che la parte dorsale rende la mano organo della presa e perciò esprime la nostra capacità di com-prendere (di sciogliere gli enigmi), mentre la parte palmare ci rende capaci di toccare lasciandoci toccare, di accarezzare e di costruire relazioni affettive o di amicizia.

3. La mano nella mano significa la condivisione e l'unione di vita tra i due che si tengono per mano nel calore palmare della presa; nelle cerimonie, come nel rito di vassallaggio, le mani nelle mani significano sottomissione, abbandono, consegna della propria libertà a colui che prende le mani delle sue mani; e questo provoca sottomissione e protezione: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; il tormento non le toccherà" (Sap 3, 1).

Nelle mani del Padre
Il significato spirituale, che suggerisce come partecipare attivamente al sacrificio di Cristo, proprio nel momento in cui egli si fa nostro "pane vivo", emerge dalle parole con cui egli prese congedo da noi sulla croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Infatti l'Eucaristia attua anche per noi il momento in cui consegnare il nostro spirito, la nostra libertà e volontà, al Signore, per restare veramente liberi: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5,1), capaci di amare e di crescere nell'amore. Anche su Gesù, nel battesimo al Giordano, scese lo Spirito Santo, tanto che poté applicare a sé, nella sinagoga di Nazaret, le parole del profeta: "Lo Spirito del Signore Dio è su di me" (Is 61,1; Lc 4,18); e questo vale anche per noi, in quanto il dono di salvezza è sempre disponibile, proprio perché lo Spirito del Figlio di Dio, per la croce, è ora comunicabile ed è sempre su di noi.
Ora, perché la celebrazione eucaristica diventi efficace e ci faccia inoltrare nella via della salvezza, sono necessarie alcune operazioni interiori, con le quali possiamo accompagnare (partecipazione attiva) il rito della Consacrazione, dall'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte (prima epiclesi) fino all'identica invocazione sull'assemblea (seconda epiclesi); ne indichiamo tre:
1. metterci nelle mani del Signore come fece Gesù dalla Croce, significa anche inginocchiarsi davanti a Lui;
2. intenerire il cuore per fare spazio alla Sua Divina Presenza e
3. invocare forza dall'Alto, lo Spirito di Verità affinché la grazia si renda attiva in noi.

1. Consegnarci a Cristo nella verità di noi stessi, col nostro positivo e negativo, per essere pure noi "un solo corpo e un solo spirito" (preghiera eucaristica terza), significa accettare senza condizioni o riserve il suo dono: impossibile donarsi a Dio senza accogliere il suo dono. Il dono della salvezza è per tutti, poiché Dio vuole che tutti siano salvi; però la salvezza raggiunge soltanto coloro che l'accettano, che l'accolgano (o almeno non la rifiutano, per questo Benedetto XVI ha scritto una Lettera per chiarire il termine del Pro multis nelle parole della Consacrazione, quale interpretazione più fedele alle parole di Cristo); e più lasciamo entrare la salvezza nella nostra vita, più partecipiamo alla gioia del nostro Signore.
Perciò, mentre il sacerdote stende le sue mani sulle offerte, ci uniamo a lui per rinnovare la nostra adesione a Cristo e invocando su di noi lo Spirito Santo (Terza Persona della Santissima Trinità e non una specie di energia o spirito fluttuante...) che consacrerà il pane e il vino, siamo fatti partecipi (non dei concelebranti) della Divina Eucaristia; e saremo veri discepoli del Signore.

A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:
La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito.(…) È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù".
Le Norme insegnano: I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus Dei, si conservi lodevolmente tale uso... (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43).
 La Chiesa, dunque, loda l'uso dell'inginocchiarsi, per chi può, perché questo atteggiamento favorisce una miglior disposizione per interiorizzare il momento sacro che stiamo vivendo e dona agli altri una concreta testimonianza in ciò in cui crediamo.
Mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del santo Padre, alla domanda:  quali sono le particolarità delle liturgie pontificie?
Risponde: "Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità. Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero liturgico a cui tutti devono rivolgersi" (intervista dicembre 2010).

Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista  pubblicata anche sull'Osservatore Romano:
Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”

Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe e l'urbe cattolico”.
Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la conseguenza anche della grave crisi di fede che la Chiesa e il mondo stanno vivendo.


2. Intenerire il cuore significa purificare le nostre mani (intese quali azioni e opere) e renderle meno indegne di ricevere il Corpo del Signore; e questo avviene accogliendo una nuova capacità di amare, di relazionarci con gli altri rispettando, a cominciare proprio dalla nostra relazione con Dio, non solo i Comandamenti ma anche amando la Chiesa che per mezzo di Pietro e dei suoi Successori, ci comunica la comprensione e l'interpretazione corretta di questi Comandamenti e di tutta la Scrittura. Se la Messa è il Culto per eccellenza attraverso il quale Dio si relaziona con noi, a nostra volta siamo chiamati a relazionarci con gli altri, a portare questa relazione agli altri. Un amore davvero nuovo: "siate misericordiosi com'è misericordioso il Padre vostro celeste" (Lc 6,36).
Benedetto XVI nell'aprile 2009 quando parla alla Pontificia Commissione Biblica, spiega: "..occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto di Origene, "Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta" ossia "la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali". Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di essa secondo il senso spirituale... Essere fedeli alla Chiesa significa, infatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto la guida del Magistero (...) tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio".
Per questo è fondamentale che ci accostiamo all'Eucaristia dopo aver accolto il Perdono di Dio mediante il Sacramento della Confessione o Riconciliazione. Senza questo Sacramento si rischia di "mangiare la propria condanna", si rischia di rendere in noi inattiva la grazia, si rischia di accostarsi al Calvario in grave stato di peccato mortale senza la volontà di cancellarlo, di condannarlo. Inoltre il perdono ricevuto non solo ci rende aperti e pronti a ricevere la grazia e a renderla efficace, ma produce frutti di santificazione e rende salde in Cristo le nostre relazioni con gli altri, benedicendole e rendendole fruttuose. Così spiegava Benedetto XVI ai teologi nel dicembre 2010: "C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia".

3. Prima di salire al cielo, Gesù rivolse agli apostoli questa promessa che è anche per noi: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). In ogni celebrazione eucaristica ci è data la possibilità di avere questa forza dall'Alto, che rende possibile l'impossibile, poiché la Chiesa del Signore non è un'azienda e non nasce né cresce con le sole forze umane: "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). È la Presenza di questa Divina realtà Eucaristica che, come il sale negli alimenti, dà sapore alla nostra fede liberandoci da quella tiepidezza che rende nauseante la testimonianza: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,15-16). È l'azione dello Spirito Santo che rende attraente la salvezza che Cristo ci offre, portando alla pienezza la vita umana, in tutti i suoi aspetti, corroborandoci nelle gioie e consolandoci veramente nel dolore, nella fatica degli impegni assunti, nelle tribolazioni.
Nell'Omelia del 3 settembre 2012 alla chiusura del seminario con i suoi ex allievi, così si è espresso Benedetto XVI:
" Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.
Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata?  Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei...."

L'Eucaristia è la verità; è parola fedele ma anche nutrimento, è oggetto di culto, Soggetto della nostra adorazione, ma anche il Soggetto che dobbiamo portare agli altri, che dobbiamo a nostra volta comunicare agli altri. L'Eucaristia che adoriamo e viviamo nella Messa non è un simbolo, non è il ricordo dell'Ultima Cena, non è una sorgente energetica, ma è la Presenza reale del Dio Vivo e vero in mezzo a noi che ha detto: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi  /  Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt.18-20).
Non siamo noi a "possedere" l'Eucaristia, ma è l'Eucaristia che "ci afferra" e vuole essere portata, comunicata al mondo, per questo Gesù cerca "discepoli". Cerca Discepoli non per avanzare le proprie teorie e costruirne di nuove, ma per essere accolto e portato così come lo abbiamo ricevuto.
Abbiamo così una possibilità unica nel cuore dell'Eucaristia: lasciarci consacrare come pane, che ci corrobora nella debolezza, e come vino, che tonifica le tappe della vita con quella "sobria ebbrezza dello Spirito" che dona e custodisce la pace profonda del cuore, segno inconfondibile della presenza del Signore in mezzo a noi, di questo dobbiamo essere testimoni e discepoli. Nella partecipazione all'Eucaristia, cerchiamo di non lasciarci sfuggire quei  pochi minuti della Consacrazione: l'imposizione delle mani sulle offerte e il tocco del campanello ci ricordano che il momento è solenne, ci ricorda che siamo invitati a piegare le nostre ginocchia davanti al Mistero, ci ricorda che se siamo lì davanti non è un merito nostro ma che in qualche modo siamo stati "chiamati" per rendere questa testimonianza alla Verità. E' importante che in quei momenti facciamo silenzio per interiorizzare questa Presenza, dobbiamo fare attenzione a non banalizzarlo con parole vane e canti inadatti ricordandoci che la fede che stiamo vivendo non crea il Mistero ma lo riceve, lo accoglie, lo accetta. Ora che abbiamo imparato qualcosa di più, cerchiamo di adeguare la nostra vita a questa Verità per esporci al Sole di giustizia che sta per divampare dall'Altare e che cerca testimoni, discepoli che trasmettano i fatti così come ricevuti, insegnati e tramandati infallibilmente dalla Chiesa.


I Santi insegnano: alcuni esempi
San Tommaso d'Aquino: "La celebrazione della Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce".
San Francesco d'Assisi: "L'uomo dovrebbe tremare, la terra dovrebbe vibrare, il cielo intero dovrebbe commuoversi profondamente, quando il Figlio di Dio si rende presente sugli altari nelle mani del sacerdote".
San Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo di gioia"
San Pio da Pietralcina: "Quando assisti alla Messa, rinnova la tua fede e medita circa la Vittima che si immola per te alla Giustizia Divina, per placarla e renderla propizia. Non te ne andare dall'altare senza versare lacrime di dolore e di amore per Gesù, crocifisso per la tua salvezza. La Vergine Addolorata ti accompagnerà e sarà la tua dolce ispirazione"
Santa Teresa di Gesù: "Senza la Messa, che sarebbe di noi? Tutti qui giù periremmo, perché solamente la Messa può trattenere il braccio di Dio. Senza di Essa, certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo sarebbe perduto senza rimedio."
San Bernardo: "Si ha maggior merito assistendo ad una santa Messa con devozione, che distribuendo tutte le proprie sostanze ai poveri o viaggiando come pellegrini in tutto il mondo".
Beata Madre Teresa di Calcutta: " Dovunque vado nel mondo intero, la cosa che mi rende più triste è guardare la gente ricevere la Comunione sulla mano".

Eucaristia in ginocchio

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